II CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI SULLA TRIPLICE CINTA E SIMBOLOGIA MEDIEVALE

                                                                                                                          

(a cura del Centro Studi Triplice Cinta)

 

L'appuntamento con il secondo convegno nazionale avente per protagonista la Triplice Cinta si è svolto con successo sabato 30 Settembre 2017 a Spirano (BG), presso l'affascinante sala del Centro Polifunzionale "Monsignor A. Vismara". Organizzato dal Centro Studi Triplice Cinta in collaborazione con il Comune di Spirano, ente patrocinante. Il convegno è iniziato alle ore 14, si è concluso alle ore 20 e ha visto l'avvicendarsi di cinque relatori che sono stati, nell'ordine: il dr. Carlo Gavazzi di Biella, Marisa Uberti di Spirano, il dr. Stefano Todisco di Monza, il dr. Marco Tibaldini di Bergamo e Angelo Marchetti di Spirano. L'evento è stato aperto con i saluti della d.ssa Ramona Rizzi, assessore alla Cultura del Comune di Spirano ed è stato brillantemente coordinato dalla d.ssa Denise Messali di Cazzago S. Martino (BS).

Il Convegno ha avuto anche un doppio indirizzo tematico, quello dedicato alla Simbologia Medievale che, oltre a spezzare la monotematicità argomentativa, ha consentito al pubblico presente di conoscere stimolanti aspetti sui "mostri" che hanno popolato, nella realtà o nella fantasia, la vita delle valli bergamasche nel medioevo ma non solo, come vedremo. La finalità dell'incontro di studi è stato quello di presentare al pubblico la tematica della Triplice Cinta, ancora di nicchia, al fine di sensibilizzare appassionati, ricercatori e organi amministrativi a questo stimolante campo di indagine, che cavalca l'onda della storia, della geografia e della vita popolare italiana ma non solo, essendo uno schema diffuso in tutto il mondo. L'etimologia può disorientare in quanto, a livello popolare, è meglio noto come "gioco del filetto" o del mulino (con numerose varianti denominative a seconda delle zone, v. ns articolo) tuttavia, non trattandosi sempre e solo di un gioco ma anche di un simbolo, da tempo gli è riconosciuta la più aderente espressione di Triplice Cinta.

Ringraziamo il Comune di Spirano (nella foto, l'assessore alla Cultura sig.ra Ramona Rizzi) per lo spazio concessoci al fine del confortevole svolgimento del Convegno. Gli utenti di questo sito sanno bene quanto sia importante la sensibilizzazione per poter incuriosire un numero sempre crescente di persone a "guardarsi intorno", a segnalare nuovi esemplari, a considerarne i contesti, non solo per incrementare il già nutritissimo censimento, ma perchè si profilano sempre nuovi "casi particolari" che riaccendono i rfilettori sulla sua misteriosa origine storica e geografica, sulla sua cronologia, sulla sua valenza e il suo impiego. Che rimane, in primis, quello di un gioco a pedine che è stato inciso da circa due millenni su roccia, pietra, legno, accomunando generazioni di persone differenti per area geografica, per temporalità, per cultura.

Non è poco, in un mondo che si divide su tutto! La definiamo un'arte popolare che va assolutamente riconsiderata e valorizzata, perchè appartiene alla memoria collettiva, quella in cui non esisteva tecnologia e che purtroppo va inesorabilmente perdendosi. Ma la letteratura ci dice che fu anche gioco di corte, amato da sovrani, cavalieri, e anche dai monaci, descritto in codici miniati e travasato nel collezionismo artistico di grande pregio. Il nostro Centro Studi opera da anni attivamente sul campo e nella ricerca bibliografica, partecipa a Congressi nazionali e internazionali al fine di confrontarsi con altre realtà coinvolte nella medesima ricerca e ridona agli interessati notizie aggiornate, mantenendo viva un'antica tradizione. Di tutto questo lavoro, di ampissimo respiro e di grande impegno, si può e si deve ottenere attenzione da parte degli organi preposti e della collettività affinchè si possano anche tutelare le incisioni e i graffiti (i più esposti a deterioramento e/o scomparsa) lasciati da anonimi predecessori su lastre, panchine, muretti, ecc. Di seguito diamo una sintesi delle relazioni presentate dai vari conferenzieri, brillantemente presentati dalla d.ssa Messali (nella foto) la quale ha reso ancora più piacevole il lungo pomeriggio di lavori e che ringraziamo vivamente.

  • Carlo Gavazzi "La Triplice Cinta e i suoi profeti"

Introdotto dalla brava Denise, ha preso la parola il dr. Carlo Gavazzi, la cui attività di individuazione dei filetti incisi nella zona della provincia di Biella è iniziata a metà degli anni '90 del XX secolo, per poi estendersi a tutto il Piemonte, alla Valle d'Aosta, alla Liguria e alla Toscana settentrionale. Insieme al figlio Luca, in quegli anni ha prodotto il bellissimo volume "Giocare sulla pietra" (Priuli&Verlucca), in cui ha ridato vita a qualcosa che era stato dimenticato dai più. Ha riportato a galla regole, varianti, contesti isolati come gli alpeggi d'alta montagna, o paesini semi-spopolati ricchi, in compenso, di tavolieri. Ha intervistato persone del luogo ed ha avuto il merito di tramandare la regola di un gioco semisconosciuto, quello dell'Orso, grazie all'incontro con l'unico testimone ancora vivente che fosse in grado di ricordarne le regole [1], nel piccolo borgo di Forgnengo (BI). Venendo all'argomento della sua relazione, Gavazzi ha fatto un preambolo doveroso sui giochi a pedine che, nonostante siano ben attestati dall'antichità (esempio Grecia e Roma), spesso sono giunti a noi privi di regole precise, per cui non sappiamo come si giocasse veramente.

E' comunemente accettata la classificazione in: giochi di cattura, che prevedono la sottrazione di pezzi all’avversario e la vittoria si ottiene quando sono stati catturati tutti i pezzi dello sfidante oppure quando il pezzo più importante non ha più possibilità di muoversi (in questa categoria includiamo la dama, gli scacchi e l’alquerque); quelli di allineamento, i quali prevedono che si mettano in fila tre (o cinque) pedine (come nel tris o nel filetto), per poter cantare vittoria o mangiare una pedina all’avversario; quelli di immobilizzazione, i più rari da trovare, in cui vince chi riesce a mettere l’avversario in condizioni di non poter più muovere alcuna pedina. Oltre a questi raggruppamenti principali è possibile fare una distinzione tra giochi simmetrici (la maggioranza) o asimmetrici. Un gioco è simmetrico quando gli sfidanti partono da un numero identico di pezzi e li spostano con modalità e scopi identici (tipici sono la dama e gli scacchi); un gioco asimmetrico è invece quello in cui i pezzi di un giocatore svolgono il ruolo di prede e si spostano con modalità differenti dai pezzi dell’avversario, che svolgono il ruolo di predatori.

Dopo aver stabilito a quale "categoria" appartenga la nostra Triplice Cinta, Gavazzi ha fatto un excursus sui ritrovamenti che ha effettuato nel corso delle proprie ricerche, che sono state prevalentemente dirette in ambito delle incisioni rupestri o su pietra; ha esposto i diversi metodi usati per documentare le incisioni come il calco (oggi vietato), la fotografia a luce radente, il frottage, il rilievo a contatto, il rilievo da frottage e da fotografia. Ha messo in evidenza l'importanza di determinare correttamente l'esemplare in esame con una scala di misurazione e una metodologia che, a livello internazionale, è stabilita dall'IFRAO (International Federation of Rock Art Organisations).

Il punto dolente è non avere ancora la possibilità di datare le incisioni su pietra o roccia per cui le numerose TC censite non possono avere una cronologia (salvo eccezioni) e il tentativo di attribuirgliene per forza una risulta arbitrario e non conforme con l'onestà intellettuale di un ricercatore. Il dottor Gavazzi è quindi giunto ad llustrare i "profeti" della TC. Chi sono questi profeti? Sono coloro che l'hanno tolta dai contesti e l'hanno portata sui libri, sulle riviste, in pubblicazioni usufruibili da un pubblico di studiosi e appassionati. Per poter parlare di un argomento, ha sostenuto il relatore, vanno rispettati quattro punti fondamentali: 1) definire l'oggetto della ricerca; 2) redigere un inventario; 3) cercare la bibliografia; 4) cercare i contatti (testimoni diretti e indiretti).  Tra i numerosi riferimenti bibliografici mostrati da Gavazzi, vi sono stati Renè Guenon, "Simboli della Scienza Sacra" (Adelphi Edizioni); Eugenia Salza Prina Ricotti "Giochi e Giocattoli" (Museo della Civiltà Romana- 18- Edizioni Quasar); Anna Gattiglia e Maurizio Rossi in "Giotto, la mimesi e i petroglifi" (Antropologia Alpina); alcuni Bollettini editi dal Centro Studi e Museo d'Arte preistorica di Pinerolo (TO), 1987-'88; diversi Bollettini del GERSAR (Groupe d'etudes, de recherches et de sauve garde de l'art rupestre), associazione francese fondata nel 1975 che tra il 1985-'87 aveva avviato un censimento internazionale sui filetti incisi [2] coordinato dal dr. Christian Wagner e al quale anche Carlo e Luca Gavazzi avevano contribuito, segnalando i numerosi esemplari ritrovati nelle regioni da essi stessi investigate.

Il relatore ha citato altri autori, molti dei quali ha incontrato personalmente e con alcuni dei quali ha collaborato a vario titolo: Pierangelo Caramella e Alberto De Giuli "Archeologia dell'Alto Novarese" (Antiquarium di Mergozzo, che produsse anche il celebre "Ossola di pietra"); Fabio Copiatti [3], Ausilio Priuli, Antonio Biganzoli, Biancangela Pizzorno Brusarosco, Urs Schwegler, Franco Binda, Fabio Gaggia, Oscar Guidi, Friderich Berger ("The Merels Board as a symbol", self-publishing, 2002); Luciano Gibelli, Umberto Sansoni e Silvana Gavaldo, tra l'altro autori de "Il segno e la storia. Arte rupestre preistorica e medievale in Valchiavenna" (Museo della Valchiavenna), Giorgio Citton e Ida Pastorelli, cui si deve il libro "Incisioni rupestri sulle Alpi Apuane e in Alta Versilia", fino ai recenti testi interamente dedicati all'argomento Triplice Cinta. Essi sono "I luoghi delle triplici cinte in Italia. Alla ricerca di un simbolo sacro o di un gioco senza tempo?" (Marisa Uberti e Giulio Coluzzi, Eremon Edizioni, 2008) e "Ludica, Sacra, Magica. Il censimento mondiale della Triplice Cinta" (Marisa Uberti, ilmiolibro.it, 2012).

Sono state poi ricordate alcune tra le innumerevoli pubblicazioni alle quali il relatore stesso ha contribuito, tra cui quelle fondamentali del DocBi (Centro Studi Biellesi). Gavazzi ha all'attivo mostre, manifestazioni, congressi in cui ha portato e continua a portare la propria esperienza pluridecennale. Chi scrive tiene a ricordare come l'aiuto di Carlo Gavazzi sia stato fondamentale per la nascita, lo sviluppo e la concretiizazione del già citato volume "Ludica, Sacra, Magica". A lui vanno speciali ringraziamenti per l'instancabile opera di ricerca e divulgazione in generale, e di sostegno e disponibilità nei confronti di chi scrive.

Ha preso quindi la parola, per pochi minuti, il ricercatore Sergio Marchi, fondatore dell'AIST (Associazione Italiana Scopritori Tavolieri) che raccoglie circa 400 membri (tra cui anche Carlo Gavazzi e Marisa Uberti). il Marchi, con Maria Grazia Picedi, ha all'attivo una catalogazione di 550 "filetti" rinvenuti nell'area della Lunigiana e protagonisti della mostra "Segni", tenutasi nel 2008 a Sarzana, che ha esposto appunto disegni, fotografie, incisioni dei giochi incisi sulle pietre di Lunigiana.

A questo punto la moderatrice dei lavori Denise Messali ha introdotto la relatrice seguente e il suo argomento:

  • Marisa Uberti "Il significato simbolico della Triplice Cinta"

La relatrice è fondatrice e curatrice del Centro Studi Triplice Cinta e da sempre sostiene l'indispensabilità di investigare il soggetto nella sua duplice veste di gioco e di simbolo. Le due valenze si integrano e si compenetrano, anche alla luce del fatto che il gioco "rappresenta un problema di conoscenza per il quale dobbiamo trovare una soluzione adeguata", come sostenuto da Josè Luis Echeveste ne "Las claves ocultas de los juegos" (La chiave occulta dei giochi). La novità proposta dalla Uberti, se così si può sintetizzare, è quella di essere giunta all'identificazione di quattro grossi gruppi "alternativi" al gioco, in cui collocare quegli esemplari impossibili a prestarsi all'impiego ludico. Perchè 4 gruppi? Quando la TC non è un gioco, non assume forse uno stesso significato simbolico? Secondo la relatrice, no. I motivi per i quali la sua struttura è stata adottata in specifici contesti, sono diversi, non univoci. Siamo nel campo delle ipotesi personali, ha tenuto a dire Marisa, ma per confortare i suoi assunti ha illustrato esempi chiarificatori, presentando anche due brevi filmati.

I quattro grandi gruppi sono così riassunti: a) Gruppo Esoterico, in cui rientrano esemplari il cui significato sfugge ad una immediata comprensione. Questo gruppo si suddivide, a sua volta, in almeno tre rami tesi ad interrogarsi se la TC sia stata un supporto magico-apotropaico, iniziatico, religioso; b) Gruppo Professionale, in cui rientrano i "Signum Tabellionis" come quello del notaio Sobricus, vissuto a cavallo del XV-XVI secolo e operante a Rovato (BS) e nei territori sottoposti al governo della Serenissima. Questo notaio aveva adottato come proprio sigillo personale professionale uno schema in tutto e per tutto identico a quello di una Triplice Cinta (con diagonali e foro centrale), arricchita di quegli elementi decorativi necessari a scoraggiare la copiatura illegittima del sigillo.

In questo gruppo che la Uberti ha denominato "professionale", possono rientrare le piante di determinati edifici e i segni dei costruttori che, secondo taluni, avrebbero adottato la TC come marchio di riconoscimento per la propria Corporazione (v. cattedrale di Strasburgo). Possono inoltre confluire in questa categoria anche quegli esemplari lasciati come "segni di riconoscimento" da parte di pellegrini e viandanti (argomento da approfondire); c) Gruppo Astronomico, in cui possono rientrare quegli esemplari che non trovano collocazione nei gruppi precedenti e che per le loro caratteristiche si prestano ad essere studiati in relazione all'archeoastronomia (esempio i giganteschi esemplari di Tris e TC incassati sulle facciate NE e SO di Chateau-du-Moulin in Sologna, Francia (1492);

d) Gruppo Artistico/Decorativo, in cui troviamo tutti gli esemplari presenti nell'Arte (dipinti, xilografie, disegni, manoscritti, arazzi, ecc.), dove assistiamo a curiose rappresentazioni che vanno dalla semplice scena di tranquillo gioco tra due coniugi, per esempio, a set da gioco molto complessi e mai impiegati a scopo ludico, probabilmente fatti realizzare da ricchi collezionisti per ostentarli come oggetti preziosi. I materiali infatti possono rivelarsi anche molto costosi: dalla radica all'ebano se parliamo di manufatti lignei, all'avorio o madreperla intarsiati con gemme, alla seta ricamata con fili d'oro se parliamo di manufatti tessili. Interessanti sono, inoltre, i motti che talvolta accompagnano le scatole da gioco: frasi beneaugurali ma anche minacciose, ambigue, misteriose, che fanno pensare al "set" come veicolo di reconditi messaggi. A questo gruppo appartengono anche tutti gli esemplari che compongono decorazioni di balaustre, ringhiere, finestre, balconi, recinzioni, pavimenti...[4] e che hanno sicuramente una mera valenza utilitaristica ma senza dimenticarsi l'impatto subliminale che possono rivstire.

Posto che il soggetto in studio sia una forma di linguaggio, la relatrice è arrivata dopo vari anni di ricerca a questo primo tentativo di ordinamento "semantico"; la Uberti costruisce un concreto criterio metodologico di approccio a quegli esemplari impossibili per essere giocati e che, in scala generale, devono soddisfare le seguenti condizioni:
—1) essere stati incisi o disegnati in verticale, in obliquo o su un soffitto (e naturalmente non si tratti di blocchi di reimpiego);
—2) se in orizzontale, abbiano misure tanto esigue da non consentire il movimento di pedine;
—3) si trovino in una  posizione che non consenta ai giocatori di muoversi;
—4) presentino elementi inservibili al gioco o che creino difficoltà per il suo svolgimento


                                                      Il pubblico in un momento della conferenza

 

Il Convegno è proseguito con una variazione del tema, rispettando comunque l'indirizzo del titolo che comprende anche la simbologia medievale. "Perchè proprio quella medievale?", si chiederà qualcuno. Perchè il Medioevo, epoca in cui la TC conobbe tra l'altro una grandissima diffusione in tutti gli strati della società, è stata un'epoca talmente ricca di "storie" che hanno interessato (poco o tanto) tutti i paesi in cui attualmente viviamo (in tutta l'Italia). E di una specifica sezione di queste storie ha parlato, con competenza e passione, il successivo relatore:

  • Stefano Todisco "Il Medioevo e i suoi mostri: il biscione visconteo, il drago Tarantasio del lago Gerundo e il Badalisc delle Valli bresciane"

Per poter contestualizzare adeguatamente il significato del "mostro serpentiforme" nel Medioevo e le sue varianti, il relatore (archeologo) ha fatto un preambolo che affonda le radici nella remota antichità. Da sempre, infatti, l’uomo ha avuto stretti legami con la figura del serpente e dei rettili a lui simili come i draghi e i mostri anguipedi del mito antico. Nella Bibbia il primo animale ad avere rapporti con gli uomini è proprio il serpente. Un altro rettile terrificante è il Leviatano (Giobbe 40-41) la cui traduzione ebraica indica un animale simile a un coccodrillo enorme. La radice ebraica che indica il serpente (nachàsc) invece rimanda all’atto del conoscere in anticipo le intenzioni: la conoscenza è elemento fondamentale della simbologia serpentina. Infatti Mosè trasforma il bastone in serpente (Nehustan) ma viene sfidato dai maghi del Faraone che fanno lo stesso (i maghi erano portatori del sapere medico, astronomico e matematico) ma la serpe di Mosè divora i tre rettili dei nemici.

Lo stesso animale viene riprodotto col bronzo per guarire chi fosse stato contagiato dal veleno dei serpenti del deserto (Esodo 7: 8-12 e Numeri 21: 4-8). In molti miti il serpente è un simbolo positivo e portatore di benessere come il serpente piumato per i Maya (Kukulkan) per gli Aztechi (Quetzalcoatl) e per gli Inca (Viracocha).Todisco ha quindi ricordato la valenza "salutifera" del serpente nell'antica Grecia, in cui era il simbolo del  dio della medicina Asclepio (Esculapio latino) come del resto il famoso Caduceo indicava il perfetto equilibrio omeostatico (insegna usata a lungo per indicare la classe sanitaria). In Italia, ha proseguito il relatore, da sempre abbiamo una vasta tradizione di storie e aneddoti che riguardano serpenti e draghi nella sfera sacrale e religiosa che affiancano gli dei oppure in antitesi a eroi, prima dell’arte medievale, il motivo del serpente-drago è molto presente presso gli etruschi e, con l’arrivo del cristianesimo, il serpente acquisirà un valore simbolico demoniaco.

In Val Camonica esiste una tradizione praticata tra 5 e 6 gennaio: la comunità maschile di Andrista (frazione di Cevo, BS) si reca nei boschi e (grazie ad un fanciullo vestito da ragazza che funge da esca) cattura un serpente con le corna e gli occhi rossi,  il Badalisc il cui nome ricorda l’altro mostro medievale tanto temuto, il Basilisco.  Vicino ad Andrista (BS) è la località Andròla: la radice comune è quella di andr- che sta per «uomo», infatti secondo la tradizione alla caccia del Badalisc possono partecipare solo i maschi, pena la negazione della comunione per le donne che osservano la scena. Il Badalisc rappresenta il male che viene sconfitto dalla comunità e, come sempre accadeva in passato, la donna era vista come simbolo della tentazione e della connivenza col demonio. L’iconografia mariana mostra l’unica donna in grado di sconfiggere il mostro (serpe-drago).

Non è un caso che nel Medioevo la punizione della lussuria femminile fosse raffigurata come una donna che allatta i serpenti. Nel Medioevo il binomio donna-peccato ha dato libero sfogo alla fantasia con la credenza che alcune creature metà donna e metà rettile (in altre versioni pesce) fossero il simbolo della tentazione per cavalieri e avventurieri ma anche per gente comune che si addentrava in zone limitrofe alle acque. La melusina in Francia e l’anguana nell’arco alpino sono frutto di queste credenze. Dall’affresco dell’invidia di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova (1306) si capisce che il serpente si collega alla sfera della falsità e dell’invidia che serpeggia: una megera stringe una sacca di denari, ha una serpe che esce dalla testa e dalla bocca e le morde gli occhi, togliendole la possibilità di parlare, evitando così le malelingue e impossibilitandola a vedere. per non avere più vittime da osservare e invidiare.

L’esempio lombardo più lampante (ma ancora poco noto) di convivenza tra l’uomo e i mostri medievali è la leggenda del drago Tarantasio che abitava le acque del lago Gerundo, oggi prosciugato in seguito alle bonifiche dei monaci tra XI e XIII secolo. Il lago lambiva le attuali provincie di Bergamo, Lodi, Cremona e Milano.

Cinque sono i personaggi legati all’uccisione di Tarantasio:

  • -San Cristoforo (già portatore di Gesù da una sponda all’altra di un fiume), patrono dei viandanti e invocato contro la peste, sconfigge Tarantasio che rappresenta il male (mangiava bambini e col pestilenziale fiato ammorbava la zone in cui proliferava la peste);
  • -Bernardo de Talenti, vescovo di Lodi, per intercessione di San Cristoforo a cui fa voto di bonificare il Gerundo e di restaurare la chiesa del santo in città (restauro del 1300), col suo impegno fa scomparire il mostro tra la notte di San Silvestro del 1299 e Capodanno del 1300 e giorni dopo si prosciuga il lago al posto del quale rimane una costola del drago (scomparsa nel XVIII secolo e probabilmente appartenente ad un cetaceo preistorico.
  • -San Colombano nel suo viaggio dalla Francia a Roma, su richiesta del re longobardo Agilulfo, uccise a bastonate il mostro nella zona dell’odierna San Colombano al Lambro, prima di giungere a Bobbio per fondare la celebre abbazia.
  • -Federico Barbarossa, che realmente passò nella zona della Geradadda, portò le armi contro i comuni guelfi della Lega Lombarda.La sua squadra di corte probabilmente diffuse la diceria che l’imperatore uccise il drago ma solo a fini propagandistici per assicurare il territorio e accaparrare l’alleanza della popolazione locale attorno al 1160.
  • Uberto Visconti, capostipite del ramo milanese, vissuto tra XII e XIII secolo, assunse a simbolo della casata (già nota nel IX secolo) il biscione che ingoia un fanciullo, divenuto poi simbolo del Ducato e di Milano oltre che dell’Inter, di Mediaset, dell’Alfa Romeo.

La leggenda parla dell’uccisione del drago da parte del capostipite dei Visconti, nella zona di Calvenzano (BG). Secondo un’altra versione lo strappò ad un saraceno durante le crociate. Sta di fatto che lo stendardo dei milanesi della seconda crociata era un biscione che mangiava un saraceno rosso. Bonvesin de la Riva nel “De Magnalibus Urbis Mediolani” sostiene che Ottone Visconti sconfisse in duello il saraceno Voluce e gli sottrasse lo stendardo con un biscione che inghiottiva un uomo bianco, poi sostituito da un moro.
Il relatore ha quindi puntato l'attenzione su altri laghi e altri mostri, partendo da Olta. Nel centro Italia, il mito etrusco parla del re Porsenna che sconfisse il mostro Olta, (in alcune versioni si tratta di un drago con la testa di lupo). Porsenna re e sacerdote (aruspice) di Chiusi, presso Siena, invocò l’aiuto del dio Velch (Vulcano) che fulminò il mostro.  Non è un caso che alcuni reperti a forma di drago siano stati trovati a pochi km proprio nella zona tra i laghi di Chiusi e di Bolsena (lago vulcanico). E' stata analizzata poi l'iconografia di Biddrina, rettile di colorazione tra il verde e il blu, occhi rossi che si nutrirebbe di capretti, agnelli e bambini. Viene spesso descritta come un'enorme biscia oppure come un'idra o, ancora, come un incrocio tra un drago e un coccodrillo. Possiede una robusta corazza di squame luminose. Il suo habitat sarebbe un luogo paludoso alimentato dalle acque sulfuree di una vicina miniera di zolfo (come per Tarantasio).. Il relatore ha accennato, in questa stimolante trattazione, anche al rito dei Serpari di Cocullo (AQ) e alcune correlazioni con antichi rituali.
Uroboro: è il serpente che si morde la coda (dal greco ourà = coda), simbolo dell’eterno ritorno della vita, della conoscenza, del tempo e dei processi alchemici delle sostanze (riscaldamento, evaporazione, raffreddamento, condensazione). Basilisco: secondo Ildegarda di Bingen era l’incrocio tra un uovo di serpente covato da un rospo, per Beda il Venerabile nasceva da un uovo di gallina covato da un rospo velenoso. Sant’Agostino lo chiama «re dei serpenti» accostandolo al demonio re dei diavoli. Era considerato simbolo della lussuria e la sifilide era detta «morbo del basilisco». Nonostante la loro apparenza invincibile, i basilischi hanno due nemici mortali: le donnole, che però muoiono anche se riescono ad ucciderlo, azzannandolo alla gola, ed i galli, il cui canto gli è letale. Un basilisco può inoltre essere ucciso anche facendolo specchiare in modo che sia il suo stesso sguardo ad ucciderlo. Anfisbena: non poteva mancare un serpente con valenza simbolica dualistica: secondo il mito greco l’anfisbèna nacque dalle gocce di sangue della testa di medusa, recisa da Perseo, di passaggio sulle sabbie del deserto sahariano. È un serpente con una testa anche sulla coda, quando una dorme l’altra è vigile. Nel medioevo questo simbolo rappresentava la doppia natura di cose e persone, Dante la cita nel XXIV canto dell’inferno in cui parla di ladri e truffatori. Era adorata dai Longobardi che rinunciarono al culto dell’idolo della Vipera d’oro solo dopo che il vescovo di Benevento, San Barbato, chiese ed ottenne un prodigio (apparizione di Maria) per liberare la città dall’assedio bizantino del 663. Talvolta era raffigurata anche con due zampe e due ali.
Dopo questa intensa trattazione, che non ha mancato di suscitare alcune domande da parte del pubblico, il convegno è stato brevemente interrotto da una pausa caffè per riprendere con il penultimo relatore, il dr. Marco Tibaldini.

  • Marco Tibaldini "La didattica dei giochi antichi nelle scuole"

il dr. Tibaldini è membro di Clio92, Associazione di insegnanti e ricercatori per la didattica della storia, diretta dal prof. Ivo Mattozzi; dal 2010 studia e utilizza i giochi dell'epoca antica come strumento di insegnamento della storia nella scuola primaria. Il Progetto Giochi & Civiltà - Insegnare la storia alla scuola primaria utilizzando i giochi dell’epoca antica, ha avuto inizio nel 2010 (inizio ricerca documentaria), nel 2013 ha avuto inizio l'attività di testing nelle scuole, nel 2016 sono stati divulgati i risultati ottenuti. Tibaldini ha tenuto lezioni e conferenze in diverse università italiane, europee e americane sul rapporto tra i giochi da tavolo e la storia. E' stato quindi un piacere e un onore averlo tra i relatori [6]; la sua professionalità, unita ad un piglio simpatico e vivace, ha tenuto desta l'attenzione del pubblico su una tematica molto complessa che parte da una domanda semplice ma cruciale: "Come, quando e perchè l'uomo inventa i giochi da tavolo?".

Anzitutto i ritrovamenti archeologici attestano che l'uomo, fin dal Neolitico, si fosse costruito dei giochi di società e dei giochi di classe. Dalla prima Età del Bronzo, le comunità umane che occupavano il Vicino Oriente Antico dedicarono una parte delle loro attività ai giochi da tavolo, che possono essere considerati vere e proprie espressioni culturali. Infatti possono raccontare qualcosa su chi ne ha progettato il meccanismo di funzionamento, su chi ha realizzato pedine e tavoliere, e soprattutto sul committente o sul gruppo sociale presso il quale i tavolieri stessi erano in uso. Attraverso i giochi da tavolo possiamo infatti ricavare informazioni sulla vita quotidiana delle antiche civiltà , ma anche su quelle che erano le loro prospettive escatologiche , sul loro immaginario collettivo e sul loro sistema di valori morali e sociali.

Sono state portate alla luce quattro tavole da gioco databili fra il 7150 (±160 anni) ed il 6500 a.C. a Beidha, un sito che si trova a 6 chilometri di distanza dalla città di Petra (Giordania). Le 4 tavole presentano delle caratteristiche comuni: due esemplari presentano una doppia fila di buchi decorati da un’incisione serpentina. Essendo incomplete non è possibile stabilire se si tratti o meno dello stesso gioco, anche se la somiglianza è evidente. Un frammento di una terza tavola da gioco è stato recuperato come materiale da costruzione ed è stato rinvenuto all’interno di un edificio di epoca romana. La quarta tavola da gioco è stata solo descritta nelle relazioni di scavo, e non illustrata, come avente due cavità separate da due file di buchi. Nell'Antica Mesopotamia era in voga un gioco disputato su un tavoliere di cui sono emersi cinque esemplari identici tra loro (scoperti dall'archeologo inglese Charles Woolley nella necropoli reale di Ur in Caldea, antica capitale dell'impero sumero); tre sono fortunatamente integri e sono attribuiti al III millennio a.C. Una tavoletta in caratteri cuneiformi è stata recentemente decodificata dallo studioso Irving L. Finkel (British Museum, UK), grazie al quale è dunque stato possibile scoprire le regole del Gioco Reale di Ur. Ecco cosa dice la tavoletta:

L’uccello della tempesta: un pezzo splendente
Il corvo: un pezzo splendente
Il gallo: un pezzo splendente
L’aquila: un pezzo splendente
La rondine: un pezzo poco pregiato
Cinque pezzi di gioco volanti
 
Un osso di pecora, un osso di bue (astragali)
Due muovono i pezzi

Se gli astragali danno come punteggio un due
La rondine siede sulla testa della prima rosetta
Se giungerà su di una rosetta, una donna amerà colui che si attarda alla taverna
A riguardo dei suoi bagagli, avrà della buona sorte
Se non arriverà sulla rosetta, una donna lo respingerà
Per colui che si attarda alla taverna, a riguardo dei suoi bagagli
La buona sorte non si curerà di loro
le tue truppe, oh fortunato, piomberanno su di loro
lascia che escano dalla casella 5, dalla casella 6, dalla casella 7
da solo io uscirò ed andrò tanto lontano quanto…

 
 
Sorprendente! Marco ha poi illustrato i giochi da tavolo nell'Antico Egitto, che riescono ad affascinare ancora oggi perchè ritratti mirabilmente sulle splendide tombe affrescate, come in quella della regina Nefertiti, in cui ella sta giocando con un avversario invisibile. Nel cap. 17 del Libro dei Morti si legge: "Incantesimo per tornare nel giorno, assumendo qualsiasi forma egli desideri, giocando a Senet sedendo in un padiglione come un vivente dopo la morte. Esso ha effetto per colui che lo invoca sulla terra". Su un sarcofago della XII dinastia (CT 405) è scritto: "Lascia che canti, lascia che balli e lascia che riceva degli ornamenti. Lascia che giochi a Senet con coloro che stanno sulla terra. In esso è la sua voce, (sebbene) egli non sia visibile. Lascia che vada alla sua casa e che possa visitare i suoi figli in eterno". Numerosi sono i tavolieri e i "set da gioco" recuperati tra i corredi funerari nelle tombe egizie delle varie dinastie e molti sono musealizzati; non di tutti i tavolieri conosciamo le regole nè come si giocasse.
Facendo un salto nel tempo e nella geografia, il relatore ha parlato della Cina, terra di leggendari inventori di giochi, e dell'antica Grecia dove i giochi a pedine, secondo Socrate, erano stati inventati dal dio Theuth.
A dire questo fu però Platone nel Fedro (seconda orazione di Socrate, LIX), in cui è riportata la seguente informazione: "Socrate: Ecco, udii che a Naucrati d'Egitto v’era, fra gli antichi culti locali, un dio il cui uccello sacro era l’Ibis e che aveva per nome Theuth. Ed anche che egli inventò per primo i numeri, l’abaco, la geometria e l’astronomia, le pedine ed i giochi coi i dadi". Tramite Platone (442 a.C.) sappiamo come fosse giocato lo schema costituito da cinque linee che chiamiamo "Pentegrammai"; la linea centrale era considerata sacra e la partita era disputata con un dado. Per Platone il gioco assumeva un'importanza fondamentale nella crescita di un individuo. Nelle Leggi, Libro I, 643b-643d troviamo: "E noi diciamo che il punto essenziale dell'educazione consiste in un corretto allevamento che, tramite il gioco, diriga il più possibile l'anima del fanciullo ad amare quello che, divenuto uomo, dovrà renderlo perfetto nella virtù propria della sua professione. Vedete dunque se quello che ho detto fino ad ora vi piace".
Erodoto nelle sue Storie, Clio (Libro I), 94.2-3 tramanda: "Secondo i Lidi stessi, anche i giochi, che ora si praticano presso di loro e presso i Greci, sarebbero stati da loro inventati. Dicono che questi giochi li scoprirono nel medesimo tempo in cui colonizzarono la Tirrenia, ed ecco come raccontano la cosa: Al tempo di Atis, figlio di Mane, una tremenda carestia si sarebbe abbattuta su tutta la Lidia. Per un certo tempo i Lidi persistettero nel tenere lo stesso stile di vita, ma poiché la crisi non accennava a finire, s’erano messi alla ricerca di rimedi ed escogitarono ciascuno qualcosa. Così sarebbero stati scoperti sia i dadi sia gli astragali, la palla e tutte le altre specie di giochi, tranne il gioco delle pedine, del quale i Lidi non rivendicano per sé l’invenzione".Molto interessante! Tibaldini ha proseguito continuando ad affascinare il pubblico con il gioco nel mondo romano, dove erano diffusi diversi tipi di tavolieri, di cui il noto Latrunculi, che avrebbe "fruttato" a Proculo un'elezione a imperatore per ben dieci volte.

Così racconta Flavio Vopisco, in Historia Augusta, vita di Proculo, 131-3: "Sebbene costui, dopo i suoi onori militari si fosse iniquamente abbandonato nella depravazione, […] venne chiamato a divenire Imperatore per gioco e per burla. Questo secondo ciò che racconta Onesimo, e di cui non ho ritrovato alcun riscontro presso nessun altro. Ciò accadde in un banchetto dove si giocava ai Latruncoli ed egli ne uscì Imperatore per dieci volte, tanto che un tale piuttosto noto gridò: “Ave Augusto!” e portando una striscia di lana viola la pose sulle spalle di Proculo e poi si prostrò ad adorarlo".
Il Duodecim Scripta è un gioco di percorso praticato nell'antico Impero Romano, affine al Gioco Reale di Ur e modificatosi nel tempo fino a raggiungere la conformazione dell'attuale Backgammon. l tavoliere è costituito da dodici linee, che a loro volta potrebbero essere divise orizzontalmente in modo da determinare trentasei posizioni; le regole non sono codificate ma desunte dai tavolieri (spesso frammentati) emersi dagli scavi. Spesso questo tipo di schema presenta delle lettere (che rappresentano le caselle), le quali talvolta compongono parole o frasi scherzose, motti. Fra di essi il relatore ne ha mostrati alcuni. La presenza delle lettere consente di intuire come si svolgesse la partita: nel tavoliere ritrovato a Ostia è riportata una sequenza alfabetica del tipo CCCCCC / BBBBBB / AAAAAA / AAAAAA / DDDDDD / EEEEEE. Le pedine entrano in A, muovono verso i gruppi di B, C e D, ed iniziano l'uscita dal tavoliere quando hanno tutte raggiunto il gruppo di E. Il gioco del Duodecim Scripta si disputava con tre dadi e verosimilmente con 15 pedine.
L'impero romano, dove si unirono oriente e occidente, importò ed esportò usanze ludiche nei territori conquistati. Cosa ci insegna tutto questo? E cosa insegna ai bambini cui questo metodo didattico è diretto? Oltre ad una partitura fisica e metafisica, date dai pezzi di gioco e dal regolamento, gli antichi tavolieri ci propongono anche una partitura simbolica, data dalle decorazioni di caselle e/o pedine, dal percorso indicato o dal meccanismo di cattura dei pezzi. Potrebbero apparire come elementi secondari ma ponendo in relazione le evidenze archeologiche attestanti l'utilizzo  di strumenti ludici con le citazioni letterarie o rappresentazioni pittoriche di scene di gioco, è possibile identificare con chiarezza il simbolismo insito nei giochi mesopotamici, greci, egizi, cinesi e greci.
 
 

La moderatrice Messali ha introdotto quindi l'ultimo relatore previsto nel programma del Convegno, che ci ha illustrato gli esemplari di Triplici Cinte, Tris, Alquerque e il Gioco del Lupo e delle Pecore a Bergamo e nella sua provincia.

  • Angelo Marchetti "Le Triplici Cinte a Bergamo e provincia"

Il relatore è membro del nostro Centro Studi e collabora attivamente sul campo nella documentazione degli esemplari incisi. La presenza di Triplici Cinte in bergamasca è cospicua, sebbene si debba ritenere che quelli censiti siano soltanto una minima parte di quanto ancora vi sia da scoprire. In totale sono giunti all'attenzione del CSTC oltre una cinquantina di esemplari bergamaschi, che testimoniano la diffusione di questo gioco a pedine nel territorio. Mancano, però, supporti documentali (come sempre) o testimonianze che consentano di dare una cronologia agli stessi. Il dato curioso è che la maggioranza dei modelli è con le diagonali; questa è una variante dello schema classico e che prevede l'impiego di 12 pedine anzichè 9 perchè si può fare "filetto" anche lungo i segmenti diagonali, appunto, cosa non prevista sul tavoliere con i soli segmenti mediani.

Nel territorio bergamasco (capoluogo compreso) sono state catalogate oltre cinquanta Triplici Cinte; nella città di Bergamo sono stati censiti, fino a oggi, 16 esemplari certi ai quali si aggiungono 2-3 esemplari molto consunti che quindi lasciano dei dubbi. Di questi, ben 12 si trovano in Città Alta, mentre nella Bassa l'unica zona in cui ne abbiamo documentate è sul parapetto del ponte sul Morla, lungo Borgo Palazzo (v. scheda). Un interessante esemplare mostrato dal Marchetti possiede due sole cinte e si qualifica pertanto come una Duplice Cinta: è situata su un blocco di reimpiego, incassato nella muratura che fiancheggia Via San Martino della Pigrizia (quartiere Longuelo), uno dei molti che erano inediti, prima della scoperta e pubblicazione da parte del CSTC. Su uno schema in verticale non è possibile giocare tuttavia il blocco su cui è inciso poteva trovarsi, originariamente, in orizzontale e prestarsi per la funzione ludica. Come si giocava su uno schema simile? Probabilmente con sole sei pedine e, rispetto alla versione classica, si poteva fare "filetto" soltanto lungo i lati delle due cinte (e non sui segmenti mediani, ovviamente, perchè sarebbe stato impossibile). E' comunque un modello raro da trovare, come il nostro inventario mondiale testimonia. Un unico Tris è per ora quello documentato in Via Solata in Città Alta.

Il relatore ha anche rimarcato come sia curioso trovare esemplari a breve distanza, tra Via Porta Dipinta e piazza Mercato delle Scarpe. In quest'ultima una TC è incisa  verticalmente alla base della cisterna che alimentava il quartiere (ma il blocco è sicuramente di reimpiego: da dove proviene?). Lungo via Porta Dipinta alcuni esemplari di TC sono incisi sulle lastre del parapetto che delimita e separa la strada bassa da quella alta (quest'ultima è un breve tratto che conduce a dei caseggiati), ma è ben visibile uno solo di essi. Altri luoghi cittadini in cui sono emerse incisioni di TC sono i parapetti delle Mura Venete (dove vi sono almeno 4 TC incise, fermo restando che molte delle lastre più antiche e consunte sono state sostituite, facendo in tal modo scomparire eventuali schemi incisi), in una sala del Palazzo del Podestà, in Piazza Angelini e nei pressi del Sacrario sul Colle di Sant'Eufemia.

Al di fuori degli esemplari incisi, il relatore ha annoverato un esemplare affrescato nell' Aula Picta (Curia Vescovile, accanto alla Cappella Colleoni). Tra i dipinti si nota un curioso elemento molto somigliante ad una TC che, evidentemente, non può avere una valenza ludica. Un secondo esemplare particolare e verosimilmente dipinto è quello presente sul penultimo pilastro che compone le arcate del portico della Cittadella Viscontea, nei pressi dell'ingresso del Museo Archeologico cittadino (Bergamo Alta).

Nelle parovincia di Bergamo, un caso eclatante è quello di Brembate Sotto dove il CSTC ha rilevato ben 9 esemplari sulle lastre che coprono il parapetto del "Ponte Vecchio" o Ponte di San Vittore (XIV sec.), sul fiume Brembo. Curiosamente si trovano solo sul lato sinistro (immettendosi sul ponte stesso dalla parte del paese); solo un paio sono chiaramente distinguibili (pur risultando molto consunti),le altre hanno solo alcune parti superstiti. E' questo un caso in cui è molto utile l'utilizzo della luce radente per poter documentare le incisioni. Il relatore ha poi portato virtualmente il pubblico dalla parte opposta della provincia bergamasca, quella del Basso Sebino, a Credaro, paese non distante dal lago d'Iseo, su una direttrice che nel medioevo era percorsa da pellegrini e viandanti. Qui la TC (con diagonali) si trova incisa su una lastra che compone il "pavimento" di un'arca tombale medievale, appannaggio della chiesa di San Giorgio, situata ai margini di una zona industriale (in Via Lorenzo Lotto). Il monumento funebre risale al 1303 ed appartenne a Bertolinus Peramatus, ma la lastra con la Triplice Cinta non può essere contestualizzata cronologicamente.

Un altro caso interessante è quello di Martinengo, comune a oriente del capoluogo orobico: sotto i portici del centro storico è situato un tavolo di pietra sul quale è incisa una TC con diagonali. La lastra litica proviene da Venezia e fu fatta trasferire qui dal condottiero Bartolomeo Colleoni. La TC fu incisa prima o dopo il trasferimento a Martinengo? Si sa che quando si trovava a Venezia, la lastra aveva una funzione macabra: vi venivano deposti i cadaveri dei condannati a morte, esposti al pubblico ludibrio. Restando nella casata del Colleoni, in uno dei suoi castelli, quello di Malpaga, sono state documentate TC e Alquerque sui parapetti del loggiato al secondo piano. A nord della provincia, nell'Alta Valle di Scalve, si trovano diversi esemplari: due TC e due Alquerque sono incassati nella pavimentazione della cella campanaria della chiesa di Vilminore mentre in ambito rupestre si annoverano quelli situati a quasi 2.000 m di altitudine, su una quindicina di massi in località Cima Verde (si trovano sia filetti che alquerque, alcuni malamente visibili e altri deturpati forse intenzionalmente).

Tra gli esemplari musealizzati, possiamo vantarne la presenza nel Museo della Valle di Zogno (Val Brembana). Nella sezione "Osteria" si trovano due bei tavolieri di legno incisi con il gioco del filetto (provvisto di diagonali) e un tavolino sul quale sono stati rappresentati un filetto, una scacchiera/damiera, e uno schema per il gioco del Lupo e le Pecore o La Volpe e le Oche  (noto in inglese come Fox and Geese), v. scheda.

Bergamo e la sua provincia presentano quindi, come il Marchetti ci ha illustrato, una grande varietà di contesti (da quello rupestre al museo), di tecniche (dai graffiti all'affresco), di modelli [6]. E' stato chiesto ai presenti rimasti chi conoscesse le regole del gioco del filetto e si sono alzate pochissime mani! E' stato quindi spiegato il regolamento del gioco classico. Lo scopo da raggiungere è infilare tre pedine in fila, sfruttando gli incroci. I giocatori sono due, ciascuno dotato di nove pezzi di colore diverso da quelli dell’avversario; la partita inizia con le pedine fuori dallo schema di gioco. A turno, gli sfidanti appongono la prima pedina su un punto qualsiasi della Tavola da gioco, all’incrocio delle linee di congiunzione dei tre quadrati concentrici o al vertice. Procedono così, tenendo presente che dovranno badare sia a bloccare i tentativi avversari di mettere tre pedine in fila, che a metterle, invece, essi stessi in fila (realizzando filetto). Se il giocatore riuscirà a mettere tre pezzi contigui, in qualsiasi direzione consentita dallo schema, potrà togliere (mangiare) una pedina al suo avversario, che non potrà più reintrodurla (i filetti già formati sono intoccabili). Le pedine si possono spostare seguendo regole precise: su un incrocio o vertice libero adiacente. Quando un giocatore rimane con solo tre pezzi, gli è consentito di muovere il proprio pezzo in qualsiasi posizione, anche non adiacente alla posizione di partenza. La vittoria l’avrà il giocatore che sia riuscito a lasciare l’avversario con meno di tre pedine giocabili.


Conclusasi brillantemente la serie di esposizioni, tutte di grande interesse, è stato consegnato un attestato di partecipazione a ciascuno dei relatori quale forma di ringraziamento per la disponibilità dimostrata. La scrivente ha avuto il piacere di consegnarlo anche a Denise Messali, che ha veramente svolto un ruolo di moderatrice encomiabile.
Un rinfresco offerto ai partecipanti ha allietato le fasi conclusive del Convegno, che si ripeterà il prossimo anno in luogo e data da definirsi.Grazie a tutti.
 

[1] Per approfondimenti vedasi Carlo Gavazzi "L'Orso e i suoi fratelli. Un gioco di un paesino delle montagne biellesi e i suoi parenti vicini e lontani", Docbi, 2007

[2] "Inventaire- La Mystérieuse Triple Enceinte”, G.E.R.S.A.R, Milly-la-Foret, 1995

[3] Referente del nostro Centro Studi per il Piemonte

[4] L'autrice ha prodotto una monografia dedicata interamente a questa tematica, scaricabile da questo link

[5] La scrivente ha conosciuto Marco Tibaldini in occasione del XX Colloquium del BGS tenutosi a Copenaghen (Danimarca) nel maggio 2017, di cui potete trovare il report (in lingua italiana) a questa pagina del nostro sito

[6] Informiamo i lettori che possono trovare tutti gli esemplari bergamaschi inseriti nell'inventario del nostro Centro Studi a questo indirizzo.

Argomento: II CONVEGNO NAZIONALE DI STUDI SULLA TRIPLICE CINTA

Triplici cinte nuova pubblicazione

Peccato non aver ricevuto la notizia avremmo presentato volentieri la nostra pubblicazione dove abbiamo documentato triplici cinte che non conoscete. Conviene incontrarci.
Marta Villa antropologa culturale PhD ricercatrice università Trento e università Svizzera italiana
Domenico Nisi archeologo collaboratore MUSE Trento
Scriveteci Marta.villa@unitn.it

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