Board Game Studies Colloquium XXII

BOLOGNA, 7-10 Maggio 2019

Università Alma Mater Studiorum


Report riassuntivo in italiano a cura di Marisa Uberti (Centro Studi Triplice Cinta)

  • Premessa

Il “Board Game Studies Colloquium” è un appuntamento annuale[i]  che riunisce ricercatori accademici e studiosi indipendenti provenienti da ogni parte del pianeta, i quali hanno in comune il variegato e complesso mondo del gioco da tavolo. Come spesso abbiamo ribadito nei nostri scritti, l’approccio a questa materia è multiforme, come multiformi sono i tipi di schemi da gioco conosciuti. Ciascuno di essi ha un’origine e una storia (antica o recente), una provenienza geografica, delle regole, delle varianti, diversi livelli di strategia e di comprensione e può assumere caratteristiche simboliche a seconda delle culture che lo praticano o di specifici ambienti in cui è (o è stato) utilizzato. Nella nostra società tecnologica si fa sempre più strada il recupero del valore antropologico del gioco da tavolo, che in molte realtà è diventato uno strumento didattico nelle scuole per insegnare alcune discipline umanistiche divertendo e stimolando bambini, ragazzi e giovani adulti. In parallelo sono nati nuovi giochi da tavolo che si fanno strada tra quelli classici; professioni come quella del “game designer” stanno conoscendo una stagione d’oro. Inoltre c’è tutta una branca di studio che si occupa dei giochi virtuali e del futuro dei giochi tradizionali.

Il BGS Colloquium si qualifica quindi, a tutti gli effetti, un grande Forum interdisciplinare in cui vengono proposti studi scientifici, analisi statistiche, esperienze sul campo, risultati delle proprie ricerche (individuali o collettive) e le novità che ciascun relatore ha raccolto. Ogni relazione è esposta in inglese, considerata lingua internazionale, ed è soggetta a commenti e/o quesiti da parte dell’uditorio, con lo scopo di stimolare un dibattito costruttivo. Alcuni dei membri del BGS sono dei veterani e sono una presenza fissa ai Colloquia.

Il filo conduttore del Colloquium di quest’anno è stato il valore educativo e socializzante dei giochi da tavolo.

 

  • BGS Colloquium XXII

L’evento del 7-10 maggio 2019 a Bologna è stato patrocinato dall’Associazione Clio’92[2], da Alma Mater Studiorum Università di Bologna, Biblioteca Universitaria, da Bologna Musei (Museo Civico Archeologico), dall’ Accademia del Tarocchino Bolognese.

Le sedi in cui si sono svolte le varie sessioni sono state tre:

  • l’aula del Dipartimento della Facoltà dell’Educazione dell’Univ. Alma Mater Studiorum (Via Filippo Re, 6);
  • l’Aula Magna (antica sala di lettura) della Biblioteca Universitaria (via Zamboni, 33-35);
  • Il Museo Civico Archeologico (via dell’Archiginnasio, 2).

E’ con piacere che ci apprestiamo a dare un sintetico riassunto delle giornate congressuali, essendo stati presenti alla maggior parte delle stesse e avendo relazionato il giorno 8, nella sessione 6.

La mattina del 7 maggio, dopo le operazioni di accoglienza presso il Dipartimento dell’Educazione dell’Univ. Alma Mater Studiorum, i lavori sono stati aperti intorno alle 9.10 da Marco Tibaldini (Ass. Clio ’92), uno dei principali organizzatori del Colloquium di quest’anno[3], che ha fatto le presentazioni di rito dando il benvenuto alla platea, composta da numerosi studiosi provenienti da diverse parti del mondo. Ha lasciato quindi la parola al prof. Cosimo Cardellicchio (CNR), un veterano di questi eventi e membro del Comitato Scientifico[4], il quale ha ripercorso i primi passi della manifestazione, ricordando Alex Randolph e Giampaolo Dossena, entrambi grandi esperti di giochi con cui ha collaborato. Con rammarico Cardellicchio ha detto che, dal Colloquium di Firenze tenutosi nel 1999, sono rimasti soltanto in cinque veterani (alcuni sono purtroppo scomparsi, altri non hanno più partecipato). Ma si è detto contento di vedere parecchi giovani, relatori dai volti nuovi, ricercatori e ricercatrici impegnati in questo settore di indagine. I giovani ne sono la linfa e lo studioso ha anche ribadito che va benissimo la teoria,  è molto importante tenere conferenze ma altrettanto importante recuperare il valore pratico del gioco: divertirsi, socializzare, entusiasmarsi, nel rispetto delle regole comuni! Uno degli aspetti positivi del BGS Colloquium è infatti riunire accademici ma anche appassionati e giocatori.

Il prof. Cosimo Cardellicchio

 

Giorno 7 maggio

Ha preso quindi avvio ufficialmente la Sessione 1, “Culture of play”, con il prof. Roberto Farnè (Univ. Di Bologna, Italia) che ha presentato una relazione intitolata “Playng the city”, dissertazione che richiederebbe molto più spazio di quello che dobbiamo condensare in poche righe. La città si è da sempre configurata come un “campo giochi” costituito da cortili, strade, aree verdi, zone appartate o abbandonate. Bambini e ragazzi colonizzavano questi spazi con una socialità ludica che era parte della loro formazione. La città come spazio abitato dall'infanzia con i suoi giochi è un'immagine che evoca un tempo passato prossimo, non remoto. Negli ultimi decenni è cambiata la città, è cambiata l'infanzia e sono cambiati anche i giochi. Senza indugiare in nostalgie di paesaggi urbani fatti di cortili, strade, spazi liberi, territori abitati dai bambini con i loro giochi va ripensato il modo di ridare all'infanzia quelle esperienze fondamentali per la formazione che le sono state sottratte e che in passato erano scontate, predefinite."Giocare la città" è un'approccio didattico per conoscerla divertendosi.

Il secondo relatore è stato Mattia Thibault (Tampere University, Finlandia), membro del Gamification Group[5]. Ha presentato una relazione dal titolo: “Urban boardgame: from representation to urban planning”, in cui ha esordito con una domanda: “Perché il gioco da tavolo?”. La risposta può essere semplificata dal fatto che, giocando, si stabilisce una speciale relazione. Lo schema del gioco offre una rappresentazione spaziale che spesso corrisponde a quella della realtà. Tuttavia non ne è la diretta rappresentazione perché i diagrammi sono icone che possono non essere accurate in ogni aspetto ma offrono uno spazio culturale, la cui comprensione è cultura specifica. E’ anche spazio ideale, stabilito dalle regole del gioco. Oggi non è necessario un tavoliere fisico per giocare perché i computer lo sostituiscono  virtualmente; questo ha creato una sorta di destrutturazione dello spazio e del tempo e perfino della realtà. Che vanno recuperati, restituendovi un significato e un senso: è proprio a tale proposito che il tavoliere da gioco torna ad assumere un valore semantico se capace di fornire struttura e dare al tempo e allo spazio un ritmo e una direzione (in altre parole, un senso). Applicando il concetto alla città, ambiente antropico per eccellenza,  essa diviene soggetta ad azioni di gamification urbana, ovvero a pratiche che mirano a riscrivere la città attraverso lo strumento ludico. Il gioco si rivela un importante strumento per agire sugli spazi urbani: tracciando percorsi, valorizzando luoghi, trasformando i cittadini stessi in giocatori.

Dopo lo spazio per le domande ai due relatori e una pausa caffè è iniziata la Sessione II intitolata “Play for educational purposes”. La prima relatrice è stata Francesca Berti (Università di Tuebingen, Germania), con la relazione “Learning by playing: play practices and cultural transmission in Stewart Culin’s writing”, cioè imparare giocando, prendendo spunto dagli scritti di Stewart Culin (1858-1929). L’esposizione è stata divisa in due parti, dove nella prima è stata presentata la figura di Culin. L’etnografo americano scrisse molto sui giochi e aveva

un progetto ambizioso: mappare i giochi nel mondo e, in particolare, pubblicò il lavoro più completo mai preparato sui giochi degli indiani nordamericani, basato sulle migliori collezioni di musei del mondo, sui viaggi che egli stesso aveva compiuto, raccogliendo dati e oggetti ludici da molte tribù indiane del Nord America all'inizio del XX secolo. Culin intrattenne una corrispondenza con Frederic Ward Putnam (1839-1915), che fu curatore del Museo di Peabody dove, nelle carte d’archivio, si trova un importante scritto di Culin, “Primitive Religion, Games and Folk-lore”, composto in occasione della World Columbian Exposition del 1893. In quello scritto compaiono principalmente: puzzles, giochi d’infanzia, mancala; palla, bowling, biliardo, curling; merrels, fox and Geese, scacchi e dama; domino americano, gioco del lotto e lotterie cinesi; gioco di dadi, ecc. La relatrice ha evidenziato i limiti del grande lavoro di Culin: la presenza di errori e la descrizione delle regole dei giochi non sempre completa. Laddove ci sono lacune, il presente può però intervenire a colmarle e nella seconda parte della sua relazione, la Berti ha puntato proprio su questo: dalle collezioni museali alla salvaguardia del patrimonio immateriale. L’UNESCO ha dichiarato i giochi tradizionali come patrimonio culturale intangibile[6]. La didattica con i giochi tradizionali può essere svolta su due livelli: su singoli soggetti (come la storia antica usando i giochi da tavolo) oppure con progetti interdisciplinari (tradizioni di gioco locali; i giochi attraverso le epoche e le regioni geografiche; workshop per giocattoli e giochi artigianali, ecc.). “Imparare facendo”- “Imparare giocando”. La Berti ha mostrato poi delle immagini di giochi tradizionali usati sia dagli Indiani nord-americani che dai koreani (illustrati da Culin), che vengono utilizzati ancora oggi (come la trottola, il volano, ecc.) e ha concluso che il lavoro di Culin, tutto sommato, è ancora valido per tre motivi: a) permette di comparare la storia recente dei giochi tradizionali con quella di oggi; b) dà risorse attendibili; c) aiuta a visualizzare il filo che tiene insieme la forme del gioco.

Dopo questa interessante esposizione ha preso la parola Vincent Berry (Università di Parigi, Francia), che ha presentato The “educational aspect” of board games from a sociological perspective: social stratification of practices, educational discourses and beliefs. Il ricercatore ha mostrato i risultati di un test sulla cultura ludica, un focus sui giochi da tavolo che è stato condotto su un campione della popolazione francese di età compresa tra 18 e 70 anni. Sono state tre le componenti del sondaggio: a) categorie di giochi pratici in generale (giochi da tavolo, videogames, gioco d’azzardo, ecc.); b) un test sulla cultura ludica (sottoponendo 45 titoli); c) l’affinità con i giochi da tavolo (frequenza con cui si gioca, in quali occasioni, il luogo,  con chi, ecc.). Che cosa è risultato? Sintetizzando al massimo: il 90% delle persone ha giocato con uno o più tavolieri da gioco; di queste il 65% ha giocato durante l’anno[7]; il 55% occasionalmente; il 10% frequentemente (nello specifico: l’8% ogni mese, il 2% ogni settimana). Giocare con i tavolieri da gioco coinvolge ogni fascia di età, classe sociale, con differenze in termini di frequenza, conoscenza, forma sociale. Chi gioca con i giochi da tavolo in Francia? E’ emerso che le mamme giocano con i figli più dei padri (59% le madri); non vi sono differenze di classe sociale ma le classi medie tendono a giocare più frequentemente delle altre. Sono emersi anche altri dati: il 21% della popolazione riferisce di giocare frequentemente tra adulti con determinati giochi (Belote, Tarocchi, carte, Scrabble, Time’s Up, Poker, ecc.); il 5-10% è un vero e proprio fanatico dei giochi da tavolo (il 4% ha una stanza, in casa propria, dedicata appositamente a questo!); il 7% compra riviste relative ai giochi da tavolo; l’8% possiede più di 20 giochi a casa; il 22% legge siti web dedicati all’argomento. I membri delle classi sociali elevate conoscono tanti giochi, un numero maggiore rispetto alle classi medie ma gioca meno (alto livello di conoscenza ma poca pratica).

Dopo questa relazione è stata la volta di ascoltare il norvegese Morten Lilleøren (Università di Oslo) con la relazione intitolata “European chess gateways: the northern route”. Ciò su cui ha puntato il prof. è stata l' origine degli scacchi nell'Europa del Nord: la sua tesi è che gli scacchi arrivassero direttamente dalla Persia nei paesi nordici e si diffondessero da lì in Polonia, in Boemia, in Germania e nelle isole britanniche, inclusa l'Irlanda. Nella conferenza ha fornito prove linguistiche per questo sviluppo storico. Questa informazione è nuova e di conseguenza stabilisce nuove conoscenze sulla storia degli scacchi, in parte contrarie, in parte in aggiunta a ciò che è finora noto. Va aggiunto che ciò non va contro la precedente conoscenza che gli scacchi siano arrivati ​​in Europa (anche) attraverso la Spagna - gli scacchi sono arrivati ​​in Europa (almeno) da due direzioni. Il relatore ha usato la terminologia medievale degli scacchi e l'albero evolutivo di questi termini - (necessari) prestiti e traduzioni di prestiti - al fine di stabilire il modo in cui gli scacchi devono essersi diffusi nel Nord Europa [8].

L’ultima conferenza della mattinata, “History learning through old board games” è stata presentata dalla ricercatrice portoghese Edite Martins Alberto. La studiosa ha ricordato che nel giardino del museo della Città si trova un frammento di lastra funeraria di sarcofago romano, trovata nel castello di S. Jorge (Giorgio). Sulla lastra è inciso lo schema di un Alquerque (28.5 x 27 cm), posteriore all’epigrafe, ed è attualmente in verticale[9]. Il Museo di Lisbona, ex Museo della città, completamente rinnovato nel 2015, è un museo polinucleare in cui Lisbona e le sue storie si svolgono sotto diverse prospettive. Si parte dalla preistoria per arrivare all’epoca moderna, attraverso cinque poli culturali: Palazzo Pimenta, Teatro Romano, Santo António, Torreão Poente e Casa dos Bicos. Cinque spazi distinti, con valenze e obiettivi complementari, che condividono una missione, un'identità e una nuova immagine. Lo scopo è di rivelare Lisbona in modi diversi, per far conoscere la ricchezza di una delle città più antiche d'Europa. Il Servizio Educativo del Museo offre visite guidate, ricostruzioni storiche, laboratori di espressione plastica, workshop e azioni di formazione, offrendo l'opportunità di una migliore conoscenza della storia e delle esperienze della città di Lisbona. Le attività sono rivolte al pubblico in generale, alle famiglie, al pubblico scolastico, al pubblico senior e al pubblico con bisogni speciali. E’ il museo più visitato dalle scuole e in questa sede la relatrice ha illustrato le modalità con cui si insegna ai ragazzi la storia giocando.

Da circa dieci anni il Servizio Educativo del Museo, insieme agli insegnanti di Storia, ha creato una serie di attività con gli antichi giochi per aiutare l’insegnamento delle epoche storiche. Questo progetto prende il nome di “Giocare con la storia” e coinvolge 25 scuole all’anno; comprende una fiera tradizionale annuale del gioco e corsi per insegnanti (accreditati dal Ministero Nazionale dell’Educazione). Sullo sfondo (background) vi è, nel giardino del museo, un campo di gioco originale del XVIII secolo (che bene si adatta a questi scopi). Si fanno delle rappresentazioni figurate con  attori calati nelle diverse epoche storiche; si insegna quindi la storia romana attraverso i giochi romani (ludus latrunculorum, Tabula, Nine Men’s Morris, ecc.); quella medievale, in cui un nobile, sua figlia e un trovatore narrano della società medievale, insegnano la poesia e i giochi antichi (Alquerque, Nine-Men’s Morris, Howel Dha, un gioco celtico); si arriva quindi alla Lisbona del XVI secolo: due navigatori insegnano e mostrano giochi fatti con cordame e raccontano della loro vita a bordo dei loro velieri. I ragazzi si calano poi nella Lisbona del XIX secolo attraverso i giochi tradizionali portoghesi come il “Burro”, “Bilros” (birilli), “Chinquilho”,”Andas”, “Laranjinha” (bocce). Naturalmente esistono livelli diversi a seconda dell’età degli scolari; le nuove metodologie comprendono anche matematica, educazione fisica, arti.

Al termine della relazione della Alberto, sono seguite le domande per i conferenzieri della Sessione 2.

Dopo la pausa pranzo, il Colloquium è ripreso con la Sessione 3 avente come filo conduttore “Higher education in game” ed è stata aperta dalla ricercatrice Beate Wayland (Libera Università di Bolzano), che ha esposto una conferenza dal titolo “Sensory toys to learn. How teachers can create learning object from in-between Educational and Design”. La Wayland conduce ricerche sul rapporto tra pedagogia, architettura e design e sui temi dell’innovazione della didattica in ambito scolastico. I suoi corsi si centrano sui temi della didattica aperta e sensoriale con lo scopo di realizzare materiali didattici tra educazione e design, che stimolino i sensi e l’apprendimento creativo. La relatrice ha coinvolto l’uditorio facendo “toccare con mano” alcuni dei supporti educativi utilizzati durante i suoi corsi con i bambini, i quali realizzano essi stessi il materiale.

A seguire ha preso la parola il finlandese Ville Kankainen parlandoci di “Board game design as learning method”. Il ricercatore lavora presso la Tampere University ed è membro di un team internazionale con cui ha avviato il “Game Project” (2018). Esso ha avuto la durata di 8 settimane; vi hanno preso parte 21 studenti e ha avuto come obiettivo quello di verificare se e come il gioco da tavolo e disegno possano essere usati come metodi di insegnamento scolastico. Durante il corso gli studenti hanno familiarizzato con i processi di creazione di giochi attraverso conferenze, workshop, visite di società di giochi e, soprattutto, creando giochi stessi. Ciascuno degli studenti ha creato 3 giochi in piccoli gruppi. Il primo gioco era un gioco da tavolo, creato in gruppi casuali in due settimane. Ad ogni gruppo è stata assegnata un'emozione specifica come tema del gioco (gratitudine, amore, tristezza, imbarazzo, disperazione e serenità) e restrizioni della dimensione del gioco, della durata della sessione di gioco e della durata delle regole del gioco. Il secondo gioco è stato una piattaforma creata in un mese con Defold, anche in gruppi casuali, ma la randomizzazione è stata guidata dalle aree di competenza degli studenti. Il terzo gioco è stato creato con Unity in due mesi. Per questo progetto, gli studenti erano liberi di selezionare i propri gruppi fintanto che ciascun gruppo includeva almeno un membro con esperienza precedente nella programmazione. Le squadre erano anche libere di creare idee per i giochi, ma erano tenuti a presentare tre delle idee alla classe, che votavano quale squadra avrebbe finito per creare. Tutti i giochi sono poi stati presentati in una festa finale nella sessione Play Party, dove sono stati pubblicamente giocabili. I risultati finali sono stati impressionanti e interessanti e rappresentano anche un'ampia varietà di diversi tipi di giochi, che possono essere scaricati digitalmente da tutti gli interessati[10].

Ville Savoranta è stato il terzo relatore della terza sessione; anch’egli finlandese, ha presentato una conferenza intitolata “Opportunities for serious board games as an expert training tool for International stability mission”. Lo studioso è stato coordinatore per la Ricerca e lo Sviluppo nel Centro di gestione delle crisi (CMC) in Finlandia e ha proposto nella sua relazione un concetto pedagogico. Accanto ai giochi di guerra e logistici vi dovrebbe essere un terzo gruppo di giochi umanitari, in cui si mettono in gioco i concetti di aiuto, di valutazione, di salvataggio, di protezione civile. Un approccio socio-costruttivo che sia basato sull’attività, sull’esperienza guidata e con studenti guidati. Il concetto pedagogico mira a promuovere la conoscenza, le abilità e gli atteggiamenti necessari per una prestazione eccellente in missione. I giochi da tavolo possono offrire un modo più informale e personale per condividere esperienze, rispetto ai tradizionali esercizi. Importante distinzione tra giochi astratti, simulati e i modelli narrativi di giochi di allenamento.

Ha concluso la sessione il giovane Robert Houghton (Winchester University, UK) con “Critical play: historical debate trhough user modification”. Generalmente, ha sostenuto il relatore, gli studiosi universitari si concentrano sulla validità dei giochi come forma storica accademica ma è importante andare un po’ oltre. Infatti i giochi sono potenzialmente in grado di agire di agire non solo come rappresentazioni di dati e analisi storici, ma anche come mezzo di dibattito storico. Questo è anche ciò che sostiene lo studioso di giochi Espen Aarseth: la natura fondamentale dei giochi potrebbe consentire l'esplorazione e l’acquisizione di informazioni e argomenti. Attraverso la qualità interattiva del mezzo legata a un approccio storicamente critico, i giocatori potrebbero diventare non solo osservatori di una produzione, ma partecipanti al processo del dibattito storico. In definitiva, Houghton sostiene che mentre i giochi non possono certo sostituire le monografie e altre pubblicazioni scolastiche, possono essere un'integrazione importante al campo di studio.

Dopo il "Questions time" e la pausa caffè, si è tornati nell’aula universitaria per ascoltare le rimanenti relazioni della mattinata. La Sessione 4, intitolata “Board Games and teaching”, è stata aperta dal ludologo modenese Andrea Ligabue, con “Board games at school: a  new methodology to check and improve competences”. l gioco da tavolo ed il gioco di ruolo possono essere uno strumento davvero efficace come veicolo di competenze nei bambini/ragazzi, competenze che difficilmente l’insegnamento frontale o altre attività possono sviluppare con analoga efficacia. Il gioco stimola lo sviluppo di abilità tattico-strategiche, cioè competenze (etiche e morali, sociali, cognitive), inoltre insegna la competizione e la collaborazione. Infatti è necessario rispettare gli altri giocatori e i loro tempi. Il gioco aiuta i ragazzi a ragionare sulle strategie (pensiero critico, creatività) e sui processi logici messi in atto durante la partita. Il gioco insegna il rispetto delle regole (che devono essere comprensibili, flessibili, condivise). Col gioco si può insegnare come leggere e capire un regolamento (che deve essere divertente e stimolante). Secondo l’esperienza del relatore, è meglio lavorare con piccoli gruppi (dividendo la classe in diverse coppie o terzetti), con giochi tradizionali ma soprattutto con quelli moderni, che siano adeguati ai gusti dei giocatori e, chiaramente, all’età evolutiva. Il docente deve disporre di conoscenze del gioco che andrà a proporre (provarlo, leggerne i regolamenti, per capire quale effettiva utilità può trarre per l’insegnamento della propria attività). Un aspetto importante è quello di insegnare ai ragazzi anche a perdere. Ci deve essere poi una fase della valutazione (post-attività) di quanto effettuato e testare l’esperienza dell’insegnante e del team di lavoro.

Ha preso quindi la parola Tiago Hirth (Associazione Ludus e CIUHCT, Università di Lisbona, Portogallo), che ha relazionato in merito alla “Evaluation and Research of in/non formal learning: mathematical games”. Il lavoro è stato condotto con Alda Carvalho. Sono stati presentati i risultati di uno studio relativo all'ultimo campionato nazionale di giochi matematici [11]. Il torneo è iniziato mesi prima in diverse centinaia di scuole sparse in tutto il Portogallo. I giochi sono stati divisi per fasce d'età (scuola elementare fino alla scuola superiore, in quattro categorie). Nel finale del campionato, hanno partecipato 466 scuole, circa 450 insegnanti, ca 1900 studenti provenienti da tutto il Portogallo, di cui 106 insegnanti hanno preso parte al questionario. 

Questo progetto richiede un grande sforzo congiunto e un coordinamento tra varie istituzioni e insegnanti; i livelli di difficoltà devono essere distribuiti correttamente e i ragazzi devono essere incoraggiati a credere nelle loro capacità. Mesi prima del Campionato vengono preparati con giochi matematici in classe, da cui emergono coloro che si sfideranno in tornei. Alla fine accede al Campionato chi supera diverse fasi. La valutazione post-attività è stata molto positiva, con un grado di soddisfazione generale elevato.

Lisa Rougetet (facoltà di Lettere e Scienze Umane dell’Università di Brest, Francia), ha quindi presentato un altro argomento interessante “Using Mancala in the high-school mathematics classroom”. Questo lavoro è stato condotto con il ricercatore americano Alex de Voogt e Natahn Epstein. I giochi di Mancala hanno ricevuto molta attenzione da matematici e informatici negli ultimi decenni (ad esempio Donkers, Uiterwijk e Irving 2000, Manansala 1995, Allis 1994). Questa attenzione, spesso parte di un interesse generale nei giochi da tavolo, si concentra sugli algoritmi di ricerca che forniscono strategie vincenti. Ma le informazioni sulla strategia offerta dai mancala sono destinate a chi ha nozioni matematiche elevate, come gli universitari delle facoltà matematiche stesse. Un livello quindi troppo alto per poter essere usate da tutti. Alcuni studiosi hanno suggerito l'uso dei giochi mancala nell'insegnamento della matematica e introdotto alcune varianti dei giochi a scuola. Sia il gioco che l'insegnamento di concetti matematici hanno fatto parte di un tale programma. I concetti immediati associati al gioco mancala erano limitati al conteggio, all'addizione e alla sottrazione, quindi il potenziale del mancala è rimasto limitato all'istruzione scolastica primaria. L’ adattamento di un gioco mancala proposto dai tre ricercatori, rappresentati in questa esposizione dalla Rougetet, consente di insegnare concetti elementari della teoria dei giochi combinatori, discreta matematica e algoritmi di ricerca. Tali argomenti sono comunemente - anche se non esclusivamente - riservati all'insegnamento universitario e il materiale è progettato in modo tale che le domande possano essere fatte più o meno complicate o laboriose, a seconda delle esigenze dell'insegnante.

Dopo le domande ai relatori della Sessione 4 e una breve pausa ricreativa, ha preso la parola Matthew Stephenson (Maastricht University, Danimarca), presentando un lavoro a tre mani (gli altri autori sono Cameron Browne ed Eric Piette), intitolato “Teaching and learning with LUDII”. Il ricercatore ha illustrato un sistema di gioco generale sviluppato nell’ambito del progetto Digital Ludeme Project[12], finanziato dal CER e ospitato all’Università di Maastricht. Esso è uno studio computazionale dei giochi di strategia tradizionali presenti in tutta la storia umana mondiale. Gli obiettivi-chiave della ricerca sono: -riunire l’intera gamma di giochi di strategia tradizionali in un unico database riproducibile; -ricostruire le conoscenze mancanti sui giochi tradizionali con un grado di precisione senza precedenti; -mappare la trasmissione di giochi (e le idee matematiche associate) attraverso la storia e la cultura. Si occupa quindi anche di tracciare lo sviluppo storico dei giochi e indagare il loro ruolo nello sviluppo della cultura umana. I giochi più antichi sono stati raramente documentati, per questo la conoscenza che ne abbiamo è incompleta, basandosi sull'interpretazione di prove parziali con poca analisi matematica. E’ a questo punto che il progetto DLP interviene, raccogliendo le unità di informazioni relative al gioco stesso (ludemes) si può modellare in un unico sistema software non solo l’intera gamma di giochi ma si possono modellare e valutare, giocando, le opportune ricostruzioni di come doveva essere il gioco originario e le sue regole (autenticità storica) e, dove possibile, migliorarle automaticamente. Questo getterà le basi per un nuovo campo di studio chiamato Digital Archaeoludology (DA). Ma c’è dell’altro: il modello ludemico rivela relazioni matematiche innate tra i giochi, consentendo analisi filogenetiche. Ciò fornisce un meccanismo per creare un albero genealogico/una rete di giochi tradizionali, che potrebbe rivelare collegamenti mancanti e consentire la ricostruzione dello stato ancestrale per far luce sulle lacune nella nostra conoscenza parziale. L'obiettivo è ripristinare e preservare il nostro patrimonio culturale immateriale (del gioco) attraverso le prove tangibili disponibili.

A chiudere i lavori della giornata è stata la conferenza di Jonathan Smets (animatore in ludopedagogia, laureando in Scienze e Tecniche del gioco informatico all’Università di Bruxelles, Belgio), “Using board games to teach computer science”. Il relatore ha illustrato l’uso dei giochi da tavolo per insegnare l’informatica. L’esperimento di cui si è fatto portavoce, organizzato da Ludilab[13], ha avuto la durata di un anno, nella scuola primaria, come attività extra-curricolare. L’età dei bambini è stata compresa tra 8-10 anni, classi miste. Il gioco è stato eseguito avendo come avversario  il computer e ha previsto l’uso di carte; le sessioni hanno avuto la durata di 1 h e 40’, 40’ per il gioco e i restanti per l’attività post-ludica (riunione, dibattito, ecc.). Non è ancora disponibile una valutazione dell’utilità/gradimento.

(i previsti Marco Nenzioni e Luca Ferrari erano assenti).

La prima corposa giornata si è conclusa con le domande ai relatori di quest'ultima sessione, cui sono seguite le parole di congedo di Marco Tibaldini, che ha dato appuntamento al mattino successivo, sempre in questa sede.

8 Maggio

Intorno alle ore 9, i lavori del Colloquium sono stati riaperti da Marco Tibaldini che, dopo i saluti di benvenuto, ha introdotto la tematica della V Sessione, “Board Game Design”. La prima relatrice è stata Vinciane Zabban (Università di Parigi, Francia) che ha presentato un tema intitolato “Digital platforms and the spread of game creation know-how: democratizing the production of board games?”. La studiosa lavora come docente nel laboratorio universitario EXPERICE, centro di ricerca fortemente organizzato attorno a un tema originale nelle scienze dell'educazione. In particolare si concentra su come le tecnologie dell'informazione e della comunicazione contemporanea contribuiscano a rinnovare l'economia di determinati settori del tempo libero, sia a livello individuale che collettivo. La sua attuale ricerca riguarda tanto i designer, la produzione e le pratiche dei videogiochi quanto gli effetti di Internet sulla pratica e sul mercato.

Ha fatto seguito a questa relazione quella di Mike Cosgrave (docente presso University College Cork, Irlanda), dal titolo ”Game design as assessment: issue in course design and assessment”. Il ricercatore ha illustrato l'esperienza nell'uso di approcci low-tech per gli incarichi di progettazione del gioco come strumento di apprendimento e valutazione, basato sui problemi che ha riscontrato per un certo numero di anni nell'insegnamento universitario.

Il prof. Mike Cosgrave in un momento della sua conferenza

Il terzo relatore è stato David King (London College Communication, UK) con la sua presentazione intitolata “A chance to play fair: considering randomness in modern game design”. Il giovane docente è a capo del corso MA Games Design[14] e specialista di calcolo fisico. La sua esposizione ha preso spunto da un libro di Jesse Shell, The Art of game design, in cui è ribadito un concetto: "Il caso è una parte essenziale di un gioco divertente perché il caso significa incertezza e l'incertezza significa sorpresa. E le sorprese sono una fonte importante del piacere umano e l'ingrediente segreto del divertimento". Ma fino a un certo punto, ha sostenuto King. Perchè i giochi sono avvincenti da giocare fino alla loro soluzione, fino a quando non vengono risolti. I giocatori cercano un avversario e un gioco che sia al limite della loro comprensione e capacità. Nella creazione di giochi moderni avvincenti bisogna quindi prestare cura ad alcuni aspetti: bilanciamento tra giocatori di diversa abilità; tensione narrativa creativa; simulazione o approssimazione di eventi; aggiungere variabilità tra i giochi. Ci deve essere anche una dose di casualità (fortuna, caso) che eguaglia tutti i giocatori (vi è per tutti la stessa possibilità, se affidata al caso). Punizioni o gratificazioni random (non premiare uno e punire un altro). Dove questo non è possibile? Correggere la distribuzione di componenti e carte, usando la tecnica del "prendi" o "passa". Si permette ai giocatori di mentire su quello che hanno.

A chiudere la Sessione 5 è stato il fisico italiano Fabio Chiarello (Istituto di Fotonica e Nanotecnologie del CNR, Università degli Studi di Roma La Sapienza), con la trattazione intitolata “Experiences in the use of board games and game design for science education”. Potrebbe sembrare strano che un ricercatore che si occupa di nanotecnologie e fotonica si dedichi all'argomento ludico, eppure in questo Colloquium abbiamo proprio constatato come il mondo dei giochi sia complesso e articolato e sia un potente mezzo per spiegare (soprattutto ai giovani) discipline altrimenti ostiche. Chiarello svolge un'attività divulgativa attraverso la creazione di laboratori ludici per festival scientifici, la realizzazione di giochi da tavolo per la didattica e tiene conferenze scientifiche. La sua trattazione ha illustrato le diverse esperienze avute nell'uso dei giochi da tavolo come strumenti di apprendimento per concetti scientifici complessi e astratti come la Meccanica quantistica, la Relatività o le nano-biotecnologie. "Quantum Race", ad esempio, è stato progettato da lui e dal suo team per l'introduzione dei principi della meccanica quantistica; "Lab on a chip", riguarda invece il sistema immunitario e le nano-biotecnologie; "Time Race" è stato creato per spiegare concetti relativistici come la dilatazione del tempo. Il ricercatore ha anche illustrato i vari progetti brillantemente svolti come il Festival della Scienza di Genova nel 2011 in cui i partecipanti sono stati circa mille; è stata disputata una partita dal vivo di "Quantum Race" dove i partecipanti (principalmente studenti) erano pedine su un tavoliere di circa 70 metri quadrati; c'è stato un elevato coinvolgimento con risultati eccellenti in termini di crescita di interesse e comprensione dei temi considerati. In una seconda fase il team ha considerando la possibilità di utilizzare l'impegno diretto degli studenti nella creazione di giochi di questo tipo come strumento di apprendimento per le materie scientifiche, in particolare per la luce e la fotonica. Sono seguite altre esperienze sia a Genova che in altre parti d'Italia con "Time Race" e altri giochi scientifici; esperienze di cui ha illustrato i risultati ottenuti e i problemi riscontrati.

I relatori della Sessione 5 in un momento del "Questions time", in cui hanno risposto alle domande dell'uditorio

La Sessione 6 è stata aperta da Emiliano Sciarra (autore di giochi/games designer, scrittore, musicista, programmatore analista e grafico pubblicitario). Egli ha presentato "The seven level of Play: keys to board game interpretation", una trattazione in cui ha illustrato i sette livelli di Gioco,che consentono di trovare le chiavi dell'interpretazione del gioco da tavolo. Essi si possono così schematizzare: 1) giochi di godimento e divertimento; 2) formazione scolastica (educativi); 3) morali; 4) divinazione; 5) propiziazione; 6) magia; 7) teurgia. I giochi antichi, al pari delle altre forme d'arte, avevano la stessa origine, il sacro. Essi erano infatti collegati a rituali e simbologie; progettati dai sacerdoti e non da gente comune; erano realizzati con obiettivi precisi per le persone. Il gioco ha assunto diverse sfaccettature, con il passare dei secoli: da sofisticato "passatempo" a un mezzo per educare fino a diventare un'espressione artistica. L'autore ha sviluppato questo tema in due libri, L'arte del gioco (Mursia, 2010) e Il Simbolismo dei giochi (Unicopli, 2017). Sciarra è autore del fortunatissimo gioco da tavolo "Bang!", diffuso in tutto il mondo.

Il relatore seguente è stato l'ungherese Chris Van de Riet con una conferenza intitolata "Game of the Vedic wheel", in cui ha analizzato alcuni schemi di gioco come emblemi della Creazione.

La ricercatrice belga Virginie Tacq  (Haute Ecole de Bruxelles) ha parlato invece dell'attività femminile nella progettazione dei giochi da tavolo, nella sua relazione dal titolo "Boardgame design: a female activity". La studiosa è membro del progetto LudiLab (v. nota 14), è mediatrice culturale e game designer. Ha fondato Play your game, un sito che si occupa di sessismo nell'ambiente del gioco ordinario.

E' stata quindi la volta della ricercatrice italiana Marisa Uberti (fondatrice e curatrice del Centro Studi Triplice Cinta), che ha presentato una relazione dal titolo Italian statistical analysis of board games called “Merels”, “Little Merels”, “Alquerque-12” and "Fox and Geese". Durante la conferenza sono stati presentati i risultati del censimento condotto dal 2013 fino alla data del 31 ottobre 2018 (censimento che raccoglie anche tutti gli esemplari catalogati dal 2001 sia in sopralluoghi che attraverso la letteratura) relativi alle incisioni di Triplice Cinta (Merels), al Tris (Little Merels), all'Alquerque-12 e al gioco denominato "La volpe e le oche" (anche noto come Il lupo e le pecore) [14]. L'analisi - di tipo quantitativo - ha coinvolto la penisola italiana grazie ad un team coordinato dalla relatrice, composto da ricercatori volontari attivi sul campo, ma grazie anche ad attenti segnalatori esterni. Lo studio ha fornito dati interessanti per la quantità di esemplari diffusi su tutto il territorio nazionale, specialmente dove la ricerca è particolarmente viva e sentita. Ha anche messo in risalto come in tutte le regioni d’Italia siano stati documentati esemplari di Triplice Cinta per un totale di 1.077; mentre soltanto in 14 regioni è stata documentata la presenza di Tris (132) e di Alquerque (107) e soltanto in sette regioni sono stati censiti schemi de "La volpe e le oche" (completamente assenti nell''Italia centro-meridionale e in Valle d'Aosta), che ammontano a 20 esemplari inventariati. I risultati della ricerca ci confermano che la Triplice Cinta (chiamata, a seconda delle regioni, filetto, mulino, trja, ecc.) rappresenta la testimonianza di un’arte popolare molto in voga nei tempi passati in tutta la penisola: incidere la pietra, la roccia o il legno per giocare ha costituito uno dei modi usati dalla gente per esprimere una cultura, una conoscenza comune, la conoscenza di regole uniformi note tanto al piemontese quanto al campano, al lombardo e al siciliano, solo per fare qualche esempio. Nel suo aspetto ludico, la Triplice Cinta si configura come legante, come mezzo comunicativo e socializzante, riconosciuto e riconoscibile da chiunque lo abbia praticato. Si dovrà cercare di appurare se nelle regioni aventi una scarsa presenza di tavolieri incisi, questo sia da imputarsi alla mancanza di una ricerca metodica o alla reale assenza degli esemplari. Per questo è indispensabile il coinvolgimento di un numero sempre crescente di ricercatori e appassionati. In chiusura la relatrice ha mostrato i cinque esemplari di Triplice Cinta fino ad oggi conosciuti nella città di Bologna (v. nostro censimento).

L'ultimo relatore della mattinata è stato Jakob Gloger (collezionista e storico dei giochi. European Society of Game-Collectors & Dice Maniacs' Club, Leipzig, Germania), il quale ha proposto l'interrogativo "A Royal Dice Machine?". Dopo un excursus sui vari tipi di dadi conosciuti, dai più antichi in avanti, lo studioso ha focalizzato l'attenzione su Sir Edward Thomason (1769-1849), fabbricante e inventore a Birmingham, nomiato Cavaliere dal re Guglielmo IV d'Inghilterra. Nelle sue "Memoirs-During half a century" (vol. 1, Londra, 1845) riportò un'interessante descrizione di una "macchina per il lancio dei dadi", che è ben poco conosciuta. Nel dicembre del 1804 un giornale francese diede la notizia dell'invenzione di una macchina elegante, da parte di un parigino, la quale era stata posta sui tavoli da gioco di Parigi come sostituta per il lancio dei dadi. Thomason ne fece una particolareggiata descrizione nelle sue Memorie e raccontò di aver voluto perfezionare quella macchina per i dadi nella sua avviata manifattura, rendendola più silenziosa in quanto provocava un fastidioso rumore, quand'era in azione. In quello stesso anno (1804) chiese al Vicario di poter brevettare questa invenzione; il funzionario, pur lodandola, non potè avvallarla nè consigliare al re l'autorizzazione al brevetto, temendo che potesse entrare in mani improprie e incoraggiare la pratica illegale del gioco d'azzardo. Ma il Vicario osservò pure che nelle società private, nelle mani ben disposte, si sarebbe potuta usare al tavolo del back-gammon. Quindi il vicario chiese due di quelle "macchine", da far provare ad esponenti della classe nobiliare, che ne restarono affascinati. Qualche tempo dopo il re si trovò a passare nella manifattura di Thomason a Birmingham e, venuto a sapere di quell'invenzione, commissionò sei pezzi, cosa di cui il Thomason fu lusingato perchè poteva vantarsi di iscrivere il nome di Sua Altezza reale nel suo libro mastro. Tuttavia l'invenzione non si diffuse e rimase localizzata, anche per contingenze politiche che provocarono una carenza di argento e altre materie prime dalle colonie.

Collezionista e storico dei giochi. European Society of Game-Collectors & Dice Maniacs' Club, Leipzig, Germania

Maggiori informazioni
https://www.centro-studi-triplice-cinta.com/studi-e-ricerche/italian-articles/board-game-studies-colloquium-xx/
Collezionista e storico dei giochi. European Society of Game-Collectors & Dice Maniacs' Club, Leipzig, Germania

Maggiori informazioni
https://www.centro-studi-triplice-cinta.com/studi-e-ricerche/italian-articles/board-game-studies-colloquium-

I relatori della Sessione 6 rispondono alle domande dell'uditorio. Da sinistra a destra: Jakob Gloger, Chris Van De Riet, Emiliano Sciarra, Virginie Tacq e Marisa Uberti (nella foto a destra, in primo piano la moderatrice della sessione, d.ssa Lisa Rougetet)

Dopo la pausa pranzo, il Colloquium ha previsto una splendida visita guidata alla Biblioteca Universitaria della città di Bologna, situata lungo la centrale Via Zamboni, all'interno dell'antico Palazzo Poggi. Il numeroso gruppo ne ha varcato il portone con emozione, venendo catapultato in un luogo di straordinario fascino e cultura. Il Coordinatore scientifico della Biblioteca, Giacomo Nerozzi, ci ha accompagnato attraverso gli eleganti ambienti affrescati e "tappezzati" di manoscritti, incunaboli, libri a stampa, fino a portarci nella sorprendente Aula Magna (antica sala di lettura), dove abbiamo ricevuto il benvenuto da parte del Presidente, Mirko degli Esposti. La sala, lunga 35 metri e larga 11, ha una volta sostenuta da quattro grandi colonne ornate da capitelli corinzi ed è arredata con pregiate scaffalature d’epoca in noce massiccio, con rifiniture in radica. Nella parte alta è coronata da busti in terracotta rappresentanti uomini illustri della cultura antica, realizzati da plasticatori bolognesi settecenteschi. Fu voluta dal papa bolognese Prospero Lambertini (Benedetto XIV) e aperta al pubblico nel 1756. Il nome di Aula Magna è dovuto, oltre che alle sue ragguardevoli dimensioni, al fatto che, dal 1803 al 1930, è stata usata come Aula Magna dell'Università. Negli ultimi decenni è stata adibita adibita ad ambiente di rappresentanza, sede di convegni, conferenze e mostre.

Foto-ricordo nell'Aula Magna della Biblioteca Universitaria di Bologna con il foltissimo gruppo del BGS Colloquium 2019

I saluti di bevenuto del Presidente della Biblioteca Universitaria, dr. Mirko degli Esposti (nella foto con Marco Tibaldini)

In questa prestigiosa location è ripresa quindi la serie di conferenze, intorno alle 15.30.  L'introduzione (e la moderazione)  della Sessione 7 (aperta al pubblico) è stata di Tiago Hirth con "The Power of Play: Luca Pacioli's De Viribus Quantitatis", trattazione che ha riguardato un grande matematico del Rinascimento, il frate Luca Pacioli, di cui il relatore ha tracciato il profilo biografico e le opere. Tra di esse il De Viribus Quantitatis, il cui originale è presente in biblioteca.  Costituisce una grande (o una delle più grandi) collezioni di ricreazioni matematiche e problemi deliziosi di cui abbiamo prove. Per maggiori informazioni sul manoscritto vedere qui.

Il secondo relatore della sessione è stato Cameron Browne (Maastricht University), presentando un lavoro effettuato a quattro mani (con il prof. Jorge Nuno Silva), "Mathematics through games". Il ricercatore ha illustrato diversi tipi di giochi da tavolo in stretta connessione con l'insegnamento della matematica. Alcuni sono ancora oggi conosciuti mentre altri sono stati praticamente dimenticati, come la Rithomachia, un gioco a due che affonda le origini intorno all'anno Mille nell'attuale Germania. Si basava su regole e pezzi costruiti sulla base dell'opera di Severino Boezio, De Institutione musica. Fu impiegato nelle università per insegnare il Quadrivio (Aritmetica, Geometria, Musica e Astronomia). Nel XVII secolo vi fu una riforma dei programmi universitari e gradualmente la Rithmomachia cadde nell'oblio. Tutti i giochi hanno in sè stessi una matematica di base, ha sostenuto il relatore; questa matematica può essere implicita nelle regole (conteggio, ecc.) oppure al di fuori di esse (e quindi non evidente a tutti). Anche Scrabble (Scarabeo) che è un gioco di linguaggio (formare delle parole), lo è soltanto apparentemente perchè ha anche un risvolto matematico: esplicito (valore delle lettere e punteggio) e uno implicito (molto più profondo e che consiste in diversi aspetti, dallo spazio consentio in cui muoversi, al calcolo delle combinazioni,ecc.), che prevede delle specifiche conoscenze. Per identificare la matematica nei giochi esiste il Digital Ludeme Project (DLP), consultabile al sito www.ludeme.eu.

Avvolti dall'indescrivibile atmosfera regnante nell'Aula Magna, gli astanti hanno quindi ascoltato la conferenza dello studioso francese Thierry Depaulis (storico dei giochi indipendente, presidente dell' International Playing Card Society  e collaboratore del Museo Svizzero del Gioco), che ha trattato "A Timeline of mind games". E' partito citando Francis Willughby che, intorno al 1665, produsse un manoscritto che per secoli è rimasto nella biblioteca dell'Università di Nottingham; soltanto nel 2003 è stata fatta la trascrizione e la pubblicazione, intitolata Il libro dei giochi di Francis Willughby [15]. Il manoscritto fu lasciato incompleto quando Willughby morì all'età di 36 anni, ma fornisce una visione senza eguali degli sport e dei giochi del periodo in cui visse. Tra le caratteristiche del libro vi sono descrizioni di giochi di carte che sarebbero altrimenti noti solo come riferimento in letteratura. Inoltre l'opera  include anche il primo studio formale dei giochi da tavolo per bambini scritto in una lingua europea, l'indagine sul manoscritto originale ha rivelato che alcune delle descrizioni dei giochi per bambini sono state effettivamente scritte da un bambino sconosciuto con successive correzioni fatte da Willughby. Depaulis ha focalizzato l'attenzione su due punti principali che il libro rimarca, cioè che esistono giochi "che esercitano il corpo" o "body games" e giochi che "esercitano l'intelligenza" o "mind games". Per entrambi sono previste due categorie: giochi che si fanno con strumenti e giochi che non ne utilizzano. I giochi da tavolo appaiono i più interessanti tra questi "giochi mentali", coprendo migliaia di anni; essi sono più facili e più identificabili dei dadi e offrono 5.000 anni di storia. Harold Murray pubblicò un corpus dei giochi mondiali nel 1952 (A history of board game other than chess, Oxford) che, tuttavia, può essere migliorato. Depaulis ha progettato una classificazione "codificata", usando 7 caratteristiche e, al loro interno, una scala graduata: 1) livello di determinazione (cambiamenti, "strategia" o entrambi + informazioni); 2) l'obiettivo principale; 3) equilibrio delle forze; 4) natura dei pezzi; 5) mosse; 6) risoluzione del conflitto; 7) metodi di cattura. Ciascuna di queste caratteristiche può avere delle variabili che vanno da 1 a 10. Un gioco viene in tal modo "premiato" con un codice di sette cifre (cioè ad ogni gioco viene assegnato un codice). Un semplice ordinamento produce interessanti raggruppamenti, i quali sono stati mostrati durante la trattazione, ponendo in evidenza come alcuni giochi rientrino in una categoria diversa, rispetto alla classificazione di Murray.

Il grande ricercatore olandese Alex de Voogt (Università di Leiden) ha preso quindi la parola, presentando la sua relazione intitolata "Crossing boarders in the Indian Ocean: board games in the Comoros Islands". Lo studioso è uno dei massimi esperti mondiali dei giochi chiamati "mancala", che conobbe durante uno studio linguistico sul campo a Zanzibar (1990). Ebbe allora modo di trascrivere le regole di uno dei mancala più complessi, il Bao, basandosi sulle testimonianze dei maggiori giocatori della città di Zanzibar. Nel corso della sua carriera accademica de Voogt  ha pubblicato numerosi saggi sui giochi della famiglia dei "mancala" che sono disputati in diverse nazioni con nomi diversi e modalità simili. Nella presente esposizione siamo virtualmente volati alle favolose Isole Comore, uno stato insulare dell'Africa Orientale posto all'estremità sud del Canale del Mozambico, nell'Oceano Indiano, tra quest'ultimo e il Madagascar. La nazione si compone di tre siole vulcaniche: Grandi Comore, Mehéli e Anjouan, mentre la vicina isola di Mayotte ha rifiutato l'indipendenza dalla Francia. 

Bruno de Villeneuve ha stilato una lista dei giochi tradizionali dell'Oceano Indiano (Mraha, Mraha wa tso, Mraha wa bwe, Awélé, Solitaire; Dominos; Dames Chinoises; Fanorona; Toupie). Secondo Alexey Lobachev ne menziona tre (Mraha wa ntso, Mraha wa bwe, Dama). Il relatore ci ha virtualmente condotto nell'isola più grande dell'arcipelago, Grande Comoro, avente per capitale Moroni. Qui è giocato ancora oggi Mraha wa bwe e altri tavolieri, che vengono anche disegnati per terra e giocati in modo estemporaneo. Tra di essi anche quello che noi conosciamo come lo schema dell'Alquerque. Il relatore ha quindi tracciato la storia dei giochi da tavolo nelle Isole Comore: essi sono l'evidenza più meridionale dell'influenza degli Ottomani (Dama turca e Siga, che è Mraha wa bwe locale); arrivarono tramite la rotta commerciale Swahili (si ritrova nell'etimologia di alcuni giochi come il Bao (Mraha wa tso) e l'Alquerque (?); risentono dell' influenza francese (Dama 10x10, scacchi, Solitario (?). Ha poi mostrato come alcuni tavolieri si trovino in altre isole oceaniche e la loro possibile trasmissione attraverso le rotte di navigazione commerciali e il colonialismo.

Il folto pubblico, ospitato per questa sessione nell'Aula Magna della Biblioteca Universitaria, ha seguito attentamente le relazioni
 
La quinta esposizione del pomeriggio è stata tenuta dal ricercatore indipendente olandese Wim van Mourik,con l'interessante trattazione "Alquerque-12 diagrams on parchment, paper and wood since the XIII century", in cui ha illustrato la propria ricerca personale (perseguita da diversi anni). Sono stati mostrati diversi tavolieri da gioco di Alquerque-12 presenti in diverse parti del mondo, e una panoramica di schemi Alquerque-simili (come la nostra Triplice Cinta, n.d.r.) del periodo compreso tra il 1250/1300 e il 1700. Il relatore ha mostrato immagini dell'antenato della Dama che ha reperito in: manoscritti e libri; incisioni su pannelli di legno; su pietra; coperchi di botte e, secondo quanto ha trovato, il diagramma scomparve nel 1700 in Europa, mentre il Latrunculi era già scomparso con la caduta dell'Impero Romano ma...non del tutto! Schemi simili al Latrunculi (Shantarah) sono infatti stati documentai in Somalia nel 1856 da Richard Burton, con regole attinte da quelle dell'antico gioco romano. Ci teniamo a dire che Wim è membro attivo del nostro Centro Studi e che sta lavorando ad un saggio sull'argomento che lo appassiona da trent'anni.
Il successivo relatore è stato l'olandese Fred Horn (grande inventore ed esperto di giochi, giocatore attivo), con una conferenza dal titolo "Games, plays and puzzles from the XIX century out of the Dutch kindercourant (1852-1904)", in cui ha illustrato una panoramica di più di 50 anni di pubblicazioni di De Kinder-courant.
Questo era il nome di una rivista settimanale olandese per bambini che apparve tra il 1852 e il 1905. Oltre ai ricordi della storia nazionale sotto forma di prosa e poesia, il contenuto consisteva in "divertimenti". C'erano carte da ritagliare, sculture di ombre da tagliare, opere d'arte, sciarade, logogrifi e "proposte di soluzioni". Una parte era riservata anche al mondo vegetale e animale. Se era d'attualità in quel momento, l'attenzione era pure rivolta al cielo stellato (astronomia). Vi erano pagine da colorare e disegnare. A volte appariva anche un allegato. Ad esempio, il volume 1852/53 conteneva parti con letture autunnali, estive e invernali, integrate da pagine da colorare, puzzle e immagini da ritagliare. Nella trattazione, Horn ha focalizzato l'attenzione sui giochi da tavolo che la rivista proponeva e come in certi casi li adattasse al momento storico. Ad esempio, nel 1860 Garibaldi combattè per l'Unità d'Italia nel meridione della penisola italiana e la sua conquista del Regno di Napoli fu "trasformata", su una pagina della rivista, in una variante del gioco dell' Assalto. La scoperta dei Raggi-X nel 1896 divenne protagonista di un altro diagramma da gioco; in tal modo la rivista si proponeva anche come veicolo didattico. All'inizio del 1900 divenne però obsoleta, alla luce delle nuove sperimentazioni (a colori, ecc.); l'ultima pubblicazione di giochi apparve nel 1904 e si trattava del Lotto-game. Questa è stata la prima presentazione di una ricerca che si estenderà maggiormente. Grazie dunque a Fred Horne per averci regalato questa anteprima di conoscenza.
Dopo questa stimolante argomentazione, ha preso la parola lo studioso 'inglese David Parlett (erudito, storico, inventore di giochi) con una relazione dal titolo "America's first lady of games", in cui ha delineato la figura di Elizabeth J. Phillips, nata Elizabeth J. Magie (1866-1948), che fu un'imprenditrice e autrice di giochi statunitense. Fu lei a inventare il precursore del Monopoli, un gioco chiamato The Landlord's Game, con lo scopo di illustrare gli insegnamenti dell'economista Henry George (sistema di tassazione unica, chiamato giorgismo). Ottenne il brevetto per il suo gioco nel 1904, tuttavia altre case produttrici di giochi in scatola misero sul mercato prodotti praticamente identici, qualche tempo dopo. Nonostante venga citata la sua amicizia con Stewart Culin (di cui ha parlato Francesca Berti la mattina del 7 maggio, vedi sopra), il relatore non è riuscito a trovare alcuna prova che si conoscessero, che si siano incontrati o che corrispondessero. E' stato citato qualcun altro che non ha avuto conoscenza di prima mano e non ha fornito prove di alcun legame tra loro. Lizzie Magie (come veniva chiamata) creò parecchi giochi da tavolo, guadagnandosi l'appellativo di "prima donna americana dei giochi".
L'ultimo relatore della giornata è stato il prof. Cosimo Cardellicchio (CNR; Univerità di Bari), con una conferenza intitolata "Shedding light on the antithesis between serious school and amusing games", con cui ha inteso far luce sull'antitesi tra la "scuola seria" e i "giochi divertenti". Come se occuparsi dei secondi fosse mero divertimento e basta. Non è affatto così. Lo dimostra il fatto che, attraverso la funzione didattico-educativa dei giochi, si possono trasmettere nozioni in varie discipline scolastiche (come molti relatori hanno illustrato durante le sessioni di questo Colloquium) e, nel campo specifico di Cardellicchio, la chimica. Fondamentale è utilizzare giochi con regole semplici e ben conosciuti come l'Old Made, Memory o il Rommy. Perplessità invece per il gioco MOL (Mastering the Organic chemistry Laboratory), che segue il cosiddetto approccio europeo alla progettazione del gioco; secondo l'esperienza del relatore, è inutilmente complesso e quindi poco coinvolgente.
Un altro gioco è CheMoVer, simile a Sorry o Parcheesi. Gli studenti devono rispondere correttamente alle domande di chimica per spostare il loro pezzo da gioco sul tavoliere. Come nella maggior parte dei giochi da tavolo, il vincitore è colui che pone per primo il suo pezzo al centro. Un altro esempio ancora è Compoundica, che costituisce un modo divertente di facilitare l'apprendimento degli studenti su elementi, composti chimici e sulla Tavola periodica. E ancora il Pairing Games, sia nella versione classica che sottoforma di carte (tipo Memory). Importante, per i giochi educativi, è la sperimentazione diretta con i ragazzi (e gli insegnanti di chimica) la quale, dove è stata effettuata, ha avuto grande successo, anche in previsione della preparazione degli esami.
Con le domande finali si è quindi brillantemente conclusa la Sessione 7 del Colloquim, che ci ha consentito di imparare molti argomenti poco noti e di rimanere qualche ora in questa location veramente spettacolare. L'appuntamento, per chi ha aderito, è stato per la sera, in cui si è svolta una cena conviviale e una serata speciale all'Accademia del Tarocchino Bolognese, durante la quale Lorenzo Cruppi ha introdotto i partecipanti alla storia e all'iconografia del celebre gioco di carte. Non dimentichiamo che Il BGS Colloquium è fatto di una parte consistente di conferenze ma anche di svago, sfida, interazione e socializzazione: quale miglior modo di realizzarle, se non attraverso il mezzo ludico? Ora anche noi abbiamo il nostro mazzo!
 
 
9 Maggio

 

Il Colloquium è ripreso la mattina del 9 maggio con la Sessione 8, "Ancient history". Il primo relatore previsto (Salvatore Costanza) era assente e ha quindi preso la parola Alessandro Pace (Università di Friburgo, Svizzera, ERC Locus Ludi), che ha presentato Games in Roman military contexts. Ludus for the Auxilia: an educational tool for a "Romano More Vivere".  Lo studioso ha focalizzato l'attenzione sulla provincia della Britannia al tempo dei Romani (Britannia fu il nome di una provincia prima, poi di più province dell'Impero Romano, situate sull'isola di Gran Bretagna in un periodo compreso tra il 43/44 e il 410 d.C.). Sin dai tempi repubblicani, le forze armate che servivano Roma non erano composte esclusivamente da reparti formati da cittadini romani. Le legioni erano affiancate da contingenti provenienti da città o stati alleati, che servivano sotto il comando superiore romano. Il sistema militare romano era basato sulle legioni composte da cittadini romani, a cui erano affiancate truppe di non cittadini. Il termine con cui tali unità erano denominate era Auxilia (ovvero truppe ausiliarie, la scelta del termine denota che a tali reparti erano demandati compiti di supporto). Di solito gli ausiliari servivano come truppe di frontiera e guarnigioni dei forti. Esse furono anche uno strumento di omologazione culturale, in cui i giochi hanno rivestito un ruolo importante. Tracce dei giochi in uso tra quelle truppe sono state rinvenute dagli archeologi nei condotti di evacuazione delle Terme di Caerleon nell'attuale Galles (dadi, monete, pedine), persi dai bagnanti durante tutto il periodo in cui l'impianto fu in uso e che depongono per lo svolgimento di giochi d'azzardo. Attualmente, nel National Roman Legion Museum, sono conservate numerose gemme, anzi si tratta della più grande collezione di gemme ritrovate in tutto l'Impero. Queste preziose gemme finemente intagliate sono state scoperte sotto le vestigia delle Terme (databili tra l'80 e il 230 d.C.). Non è possibile sapere quali fossero gli schemi da gioco impiegati ma essi erano svolti sotto il buon auspicio di Fortuna, Speranza e Bonus Eventus, divinità intimamente legate sia al mondo dei soldati che dei giocatori: interessante che sulle gemme fossero incise le immagini di quelle divinità, insieme a soggetti squisitamente militari. Gli strumenti ludici sono stati rinvenuti non solo negli strati pertinenti alla precoce presenza romana ma anche quando essa era bene attestata e si avvaleva di truppe ausiliarie reclutate localmente, indice che l'influenza dei romani aveva contagiato anche chi romano non lo era per nascita (romanizzazione). Anche questo rientrava nelle nuove abitudini del romano more vivere. Pace ha parlato quindi di Vindolanda, antica località che sorgeva a un paio di chilometri di distanza dal Vallo di Adriano e importante snodo strategico nell'ambito dello scacchiere difensivo settentrionale della Britannia; . Il sito di Vindolanda fu occupato da tre formazioni di truppe ausiliarie, a volte contemporaneamente: la I coorte di Tungri, la III coorte e la IX coorte di Batavi. Che avevano stili culturali diversi ma erano accomunati dalle stesse pratiche ludiche, che con ogni probabilità erano romane. A Vindolanda furono ritrovati dei pezzi da gioco (pedine in osso, vetro e piombo), dadi in osso e un tavoliere del Ludus Latrunculorum su pietra. Ne sono state trovati anche a Coria, una città fortificata a 2,5 miglia a sud del Vallo di Adriano, in un punto in cui una grande strada romana orientata nord-sud superava il fiume Tyne e incontrava un'altra strada romana, che correva in direzione est-ovest tra Coria e Luguvalium in Solway Plain. Sono emersi dadi, pedine, un bussolotto, un tavoliere con più di 64 caselle e, in un cassa - insieme ad altro materiale- si trovavano 47 pedine bianche e nere, che dovevano essere servite per più di un set da gioco.
Il secondo relatore della sessione è stato il ricercatore Atagün Karayel (Università di Galatasaray, Istanbul, Turchia), che ha relazionato in merito a "Petteia in Plato: board gaming as techné: does dice-containing game fit in the picture?". Nella trattazione ha analizzato l'etimologia del termine e il suo uso negli antichi autori greci. Platone ne "la Repubblica" paragona le vittime di Socrate a "cattivi giocatori di Petteia, che alla fine sono messi all'angolo e resi incapaci di muoversi nei confronti di quelli intelligenti". Nella stessa opera Platone afferma che Petteia implica un lungo addestramento se si vuole ottenere abilità. Aristotele, tutore di Alessandro Magno, scrisse che "un cittadino senza stato puà essere paragonato a un pezzo isolato in una partita di Petteia". Secondo alcuni, nel tempo ci potrebbe essere stata una sovrapposizione di giochi (Chaturanga con Petteya o gioco della Città), con il risultato di ottenere un gioco vicino ai moderni scacchi. I dadi sono stati eliminati e l'enfasi del gioco è passata dalla possibilità alla strategia. La diffusione dall'antica Atene alla Persia, in Asia Minore e all'India potrebbe essere dovuta agli eserciti di Alessandro il Grande.
Thomas Daniaux (Università di Friburgo, Svizzera) ha quindi esposto la sua relazione intitolata "Board games and toys in Aventicum, Roman capital city of Helvetia".Aventicum sorgeva in corrispondenza dell'attuale Avenches, a sud del lago Morati, nella pianura della Broye ma su un altopiano di 445 m di altezza. In epoca romana fu capitale dell'Elvezia (Svizzera), oltre che suo centro politico, religioso ed economico. Ubicata strategicamente, collegava le rive del lago di Lemano alle città romane di Vindonissa e Augusta Raurica; attraverso il fiume era collegata al lago di Moriat mediante un canale. Conobbe la massima espansione tra I e III secolo d.C. Numerosi sono i reperti venuti alla luce in varie campagne archeologiche, esposti nel Musée romain d'Avenches, collocato nella torre dell'anfiteatro romano. Tra essi, 4 probabili tavolieri del gioco del Latrunculum. Perchè "probabilmente"? Perchè se alcune caratteristiche depongono a favore di questa interpretazione, non altrettanto si può dire del disegno della griglia...
Dopo le domande del pubblico e la pausa caffè, la Sessione 9 (Ancient and Medieval history) è stata aperta da Alessandro Pace e Thomas Daniaux (già relatori nella precedente sessione), i quali hanno illustrato il Locus Ludi Project, al cui sito internet ufficiale rimandiamo.
 
Ha chiuso la sessione Nicola Bergamo (direttore scientifico della rivista internazionale di studi bizantini “Porphyra", scrittore e storico) con una relazione dal titolo "Chess in Costantinople". La parola greca, durante il millennio bizantino, per indicare un gioco era "diversion" (che potremmo far corrispondere alla parola "hobby", ma anche tattica difensiva), tuttavia furono usate anche altre parole, come παιχνίδι (gioco, gioco infantile) ma usarono esplicitamente la parola riferita agli scacchi? 
Alcuni autori hanno scritto in merito. Ad esempio Ducas ne Historia Turco-Bizantina 1341-1462, riporta che "Appena ebbe notizia della cattura del rivale, Tamerlano fece subito montare un padiglione in mezzo al campo, dove si mise a giocare a zatrici (il gioco che noi chiamiamo scacchi) con il figlio mostrando quindi la sua noncuranza per la cattura del capo nemico turco, quando Bayazid gli fu portato al padiglione e fu quindi annunciato Tamerlano intento nel gioco continuò la sua partita non degnando neanche di uno sguardo il sultano turco,  e allora i suoi uomini ripeterono con maggior voce l'annuncio, a quel punto Tamerlano perse la partita e suo figlio gli diede scacco giocato (scacco matto), che in lingua Persiana si diceva sahruh, e da quel momento il figlio di Tamerlano si chiamò Sahruh". Diverso tempo prima un altro autore, Achmet figlio di Seirim (Achmet ben Seirim), scrisse nel suo trattato sull'interpretazione dei sogni (Oneirocriticon di Achmet): "Se qualcuno sogna di stare giocando a scacchi con un amico [... ]", che fa capire come il gioco fosse conosciuto alla fine del X secolo nella città di Costantinopoli. Joannes Zonara (Giovanni Zonara), storico e teologo bizantino attivo a Costantinopoli nel XII secolo, primo segretario privato dell'Imperatore, cioè capo della cancelleria imperiale, accennò agli scacchi nel Commento alle 42 note al Concilio di Trullo, usando la parola zatrikion. Ne parla in merito a vescovi e preti che deviavano dalla dottrina, giocando a scacchi o ai dadi o bevendo in eccesso... Con una notevole serie di documenti e immagini, Bergamo ha poi proseguito la sua interessante relazione, che dobbiamo necessariamente limitare a quanto condensato.
 
Dopo la pausa pranzo, il gruppo del BGS ha preso parte ad una bellissima visita culturale del centro storico di Bologna e dei suoi monumenti più rappresentativi, partendo dalla Torre degli Asinelli e dalla vicina Torre Garisenda, la più antica della città. La guida ci ha condotto attraverso la storia, da quella più antica a quella romana, per proseguire poi con quella medievale, rinascimentale e moderna. Degni di nota sono state le visite al complesso religioso di S. Stefano (Sette Chiese) [16], dove abbiamo avuto modo di documentare nuovamente la Triplice Cinta incisa alla base di una delle colonne nella chiesa dei SS. Giulio e Agricola e constatarne il deperimento. Straordinaria la visita all'Archiginnasio, capolavoro cinquecentesco sede della prima Università della città e oggi ospitante la Biblioteca Comunale. A testimonianza della lunga storia universitaria del palazzo è rimasto il più vasto complesso araldico murale al mondo, composto attualmente da circa 6000 (in origine erano oltre 7000) stemmi studenteschi e iscrizioni in onore dei professori. Sempre interessante la visita alla chiesa di San Petronio, con particolare attenzione verso la sua antica meridiana pavimentale e la Cappella Bolognini con l'affresco di Maometto fagocitatore (ispirato al tema dantesco dell' Inferno), dipinto di Giovanni da Modena. Personalmente avevo già visitato questi insigni monumenti ma ho avuto il grande piacere di fare una nuova esperienza: anzitutto in inglese e poi con i membri del BGS!
La Sessione 10 (aperta al pubblico) si è svolta nel Museo Archeologico, dove sono state mostrate le evidenze di tavolieri da gioco. Dopo i saluti di benvenuto, la sessione (intitolata Archaeology of Games) è stata aperta dal prof. Ulrich Schädler (Museo Svizzero del Gioco, Università di Friburgo, ERC “Locus Ludi), con una relazione intitolata "Greek, Etruscan and Celts at play",in cui presentava il materiale ludico (innanzitutto pedine, dadi e sassolini) proveniente da necropoli etrusche (dalla fine del VI° al III° sec. a.C.) di Bologna e Spina. Questo materiale, insieme ad altre testimonianze, sottolinea l’importanza della valle padana Etrusca per la trasmissione di giochi greci verso il mondo celtico.Nella stessa sessione ha relazionato anche Stella Maris Ferrarese Capettini con "Board game in Patagonia". Di queste conferenze e di quelle della mattina del giorno 10, che ha concluso il Colloquium, non ci è possibile riferire altro perchè non eravamo presenti. L'intero programma dei relatori è consultabile all'URL https://boardgamestudies.jimdofree.com/program/
 
 
 
  • Si ringrazia il Comitato Organizzativo, il Comitato Scientifico, le guide e i ricercatori che hanno reso interessante e riuscito questo ennesimo Colloquium. Appuntamento a Parigi con l'edizione 2020!
  • Durante tutta la durata del BGS Colloquium è stata allestita una interessante esposizione di dadi in uso tra le popolazioni indigene del Nord, Centro e Sud America. Ne abbiamo pubblicato le foto nella galleria a fondo pagina.

[1] Il primo tentativo di questo tipo risale al 1990 e si deve al prof. Irving Finkel (curatore del British Museum di Londra), che abbiamo avuto il piacere di conoscere nel BGS Colloquium XX a Copenhagen (2017). Ma si dovette attendere il 1995 per una regolarità nello svolgimento dell’evento, grazie al prof. Alex de Voogt: da quell’anno al 2001 si svolse ogni due anni. I primi due (1995 e 1997) la sede fu Leiden (Paesi Bassi), mentre nel 1999 il Colloquium si tenne a Firenze e, da allora, non tornò più in Italia, fino a quest’anno. Appare importante sottolineare questa ricorrenza

[2] Associazione di Insegnanti e Ricercatori per la didattica della storia (sito web)

[3] Gli altri sono stati Fatih Parlak (Univ. Di Barcellona) e Tiago Hirth (Univ. Di Lisbona), insieme ad un team di volenterosi e giovani ricercatori universitari

[4] Insieme a: Alex de Voogt (Drew University), Ulrich Schädler (ERC, Locus Ludi Project), Thierry Depaulis (International Paly Cards Society); Jorge Nuno Silva (Università di Lisbona), Eddie Dungan (Università di Suffolk)

[5] Gamification Group (GG) è un gruppo di ricerca multidisciplinare che esamina la “giocosità” della tecnologia, della società, della cultura e dell'economia e opera in due università in Finlandia (sito web)

[6]Ecco come la Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale, promulgata dall’UNESCO nel 2003 e ratificata dall’Italia nel 2007, definisce il suo oggetto: Per “patrimonio culturale immateriale” s’intendono le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how – come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi – che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui – riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale. Questo patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi in risposta al loro ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia e dà loro un senso d‘identità e di continuità, promuovendo in tal modo il rispetto per la diversità culturale e la creatività umana. Ai fini della presente Convenzione, si terrà conto di tale patrimonio culturale immateriale unicamente nella misura in cui è compatibile con gli strumenti esistenti in materia di diritti umani e con le esigenze di rispetto reciproco fra comunità, gruppi e individui nonché dello sviluppo sostenibile.” (Art.2) (tratto dal sito Tocatì, Festival Internazionale dei Giochi in strada, candidato al “Best Practice listo of Intangible Cultural Heritage”)

[7] Riferito a quello di somministrazione del test, il 2017

 [8] La figura che vediamo nella foto dietro al relatore è un pezzo dei famosi "Scacchi di Lewis", che riteniamo utile (come redattori) sintetizzare per chi non li conoscesse: si tratta di una bellissima collezione di pezzi scacchisti che furono scoperti nel 1831 sull’isola di Lewis (facente parte dell’arcipelago delle Ebridi, Scozia) e che oggi sono conosciuti in tutto il mondo. Questi pezzi artigianali, realizzati in avorio proveniente da zanne di tricheco e denti di balena, hanno però suscitato grandi discussioni e diatribe tra differenti scuole di pensiero principalmente sull’epoca e sul luogo in cui furono prodotti. I pezzi ritrovati sono 93: 8 re, 8 regine, 16 vescovi [alfieri], 15 cavalieri [cavalli], 12 guardie (sodati molto possenti, l’equivalente delle odierne torri), 19 pedoni, 14 pedine per giochi da tavolo, simili al backgammon, e la fibbia di una cintura. Alcuni sono macchiati di rosso, indizio del fatto che i pezzi fossero o bianchi o rossi, non bianchi e neri. Il British Museum possiede 82 pezzi, mentre il National Museum of Scotland di Edimburgo possiede gli altri 11.

[9] Già nel nostro censimento a questa scheda

[11] Campeonato Nacional de Jogos Matemáticos (CNJM), da anni si svolge in Portogallo ed è parte integrante dell’Associazione Ludus, diretta dal prof. Jorge Nuno Silva

[14] Un'analisi di tipo qualitativo (modelli degli esemplari trovati fino alla fine del 2012) è stata pubblicata dall'autrice nel libro “Ludica, Sacra, Magica. Il censimento mondiale della Triplice Cinta” (ilmiolibro.it, 2012, anche in formato e-book e in versione inglese). Tutte le schede degli esemplari censiti si trovano nel database digitalizzato nel presente sito (www.centro-studi-triplice-cinta.com)

[15] L'edizione moderna è stata curata da Jeffrey L Forgeng, Dorothy Johnston e David Cram ed è stata pubblicata dalla Ashgate Publishing Company

[16] L'autrice di questo report se ne è occupata in altro sito (https://www.duepassinelmistero.com/SStefano.htm)

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